Esistono ancora oggi, rilevanti differenze tra uomini e donne, in diversi paesi europei, riguardo la parità di genere in ambito economico e sociale. Per fare una stima quanto più precisa del gender gap esistente nei vari paesi dell’Unione Europea, occorre tenere conto di diversi indicatori, relativi al settore dell’istruzione, quello del mondo del lavoro e le retribuzioni.
A tal proposito l’osservatorio JobPricing (quest’anno in collaborazione con Spring Professional e IDEM – Mind The Gap) ha pubblicato uno studio annuale sul Gender Gap nel mercato del lavoro (privato) italiano. Tuttavia, se è vero che la pandemia da Covid-19 ha colpito tutti i cittadini del mondo, è altrettanto vero che il grado di impatto della pandemia non è stato omogeneo. La crisi si è accanita maggiormente su tutte quelle persone che già prima della pandemia si trovavano in una situazione di disuguaglianza.
Parità di genere: a che punto siamo?
Per le donne, l’ultimo anno non è stato un anno d’oro in termini di pandemia da covid-19. Infatti, è stato l’anno che ha messo a dura prova i progressi compiuti negli ultimi anni in tema di partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Nei paesi anglofoni si è addirittura parlato di shecession (she-recession), ovvero, il fatto che le donne sono state le più colpite dalla crisi economica causata dalla pandemia, contrariamente a quanto registrato in precedenti recessioni, definite mancession per l’impatto sproporzionato nei confronti degli uomini.
La crisi ha causato la perdita del lavoro per milioni di donne che svolgevano lavori precari e sottopagati. Tuttavia, il lavoro di cura non retribuito, con la chiusure delle scuole, ha aggravato la condizione delle donne che si sono trovate costrette a diminuire le ore di lavoro o addirittura a lasciarlo per accudire i propri figli a casa a causa della quarantena.
Come se non fosse già abbastanza, vi è stato anche uno sbilanciamento in termini di esposizione al contagio: il lavoro femminile è, infatti, più diffuso nei settori che sono stati più esposti al virus, quali sociale e sanitario.
In Europa, ad esempio, l’Istituto Europeo per la Parità di Genere (EIGE) stima che le donne siano l’86 per cento del personale di assistenza sanitaria, il 95 per cento del personale domestico e il 93 per cento del personale dedicato alla cura dei bambini e insegnamento.
Uno sguardo al Gender Gap internazionale
Il World Economic Forum (WEF), che ha pubblicato anche quest’anno il Global Gender Gap Report, ha certificato la già citata recessione femminile in termini di progressi per la chiusura del gap di genere. Tuttavia, si registra un aumento del gap del 37% con un una percentuale di chiusura pari al 68%. Il WEF annualmente calcola sia un indice composito che rappresenta la percentuale di chiusura del gap totale mondiale, sia gli indici di dettaglio relativi che lo compongono.
Il monitoraggio della parità di genere è effettuato, a livello esclusivamente europeo, dall’EIGE, che considera sei dimensioni (lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere, salute). Il livello di chiusura del gap europeo risulta in linea con quello mondiale al 68%, anche se gli ultimi dati pubblicati sono relativi al 2018. I livelli di chiusura peggiori si registrano nelle dimensioni del potere (economico, politico e sociale) con circa 54%, la conoscenza con circa 64% e il tempo con circa 66%. Il lavoro (72%), il denaro (81%) e la salute (88%) registrano invece una percentuale di chiusura più alta dell’indice totale.
Il grafico 1 riporta l’indice dei paesi europei a confronto con l’indicatore globale. In generale, tutti i paesi considerati presentano una percentuale di gap chiuso superiore alla media. Infatti, le stime del WEF valutano il tempo necessario alla chiusura dei gap per l’Europa occidentale, che è pari a 52.1 anni, come il migliore di tutto il pianeta. Il paese migliore è la Finlandia, che è il secondo al mondo dopo l’Islanda, con un punteggio pari a 86,1 per cento, mentre l’Italia, totalizzando 72 per cento, si colloca al 63esimo posto.
Il grafico di seguito illustra l’indice generale dei paesi UE a confronto con quello medio UE. In questo caso, l’Italia si colloca al di sotto di UE27. Il paese più virtuoso è la Svezia, il peggiore la Grecia.
Il mercato del lavoro in Italia
In Italia l’area peggiore risulta la partecipazione economica e al lavoro. Gli indicatori che più pesano negativamente nel punteggio dell’indice WEF sono:
- percentuale di dirigenti donne (38,5% Italia; 34,9% globale);
- l’uguaglianza nei salari (53,3% Italia; 62,8% globale);
- la distribuzione diseguale di reddito e ricchezza tra uomini e donne.
Secondo il WEF, in Italia la percentuale di chiusura del gap di genere in partecipazione e opportunità economiche è del 60,9%, ma per l’uguaglianza salariale supera di poco il 50%. Secondo l’EIGE, in Italia, la percentuale di chiusura del gap sul lavoro è al 63,3%.
Meno del 30% dei laureati STEM è donna: il vero divario di genere nell’ambito della conoscenza sta nella scelta delle aree disciplinari. Le donne in media sono più istruite degli uomini, su tutti i livelli. Secondo Almalaurea nell’ultimo anno le laureate sono state il 58,7% del totale e, secondo gli ultimi dati ufficiali del MIUR il fenomeno dell’abbandono scolastico investe maggiormente i ragazzi (3% ragazze contro 4,6% ragazzi). Secondo Almalaurea le donne ottengono, in media, valutazioni migliori degli uomini (voti superiori a 9 per il 43% delle ragazze contro il 31,7% dei ragazzi) e le percentuali di donne con titoli inferiori alla laurea sono andate progressivamente in diminuzione.
Tuttavia, le donne laureate sono maggiormente concentrate nelle discipline umanistiche (80% di presenze negli ambiti di insegnamento, linguistico e psicologico). Nonostante le donne siano, in media, più istruite degli uomini, si concentrano nelle discipline umanistiche autoescludendosi dai percorsi STEM, che sono quelli che offrono migliore probabilità di impiego e le migliori prospettive di retribuzione.
Il Gap di genere nelle donne madri
Il Gap di genere nell’occupazione delle madri rispetto ai padri cresce al diminuire dell’età dei figli, al Sud e tra chi ha bassi titoli di studio. Dunque, la domanda sorge spontanea. Perché le donne preferiscono lavorare part-time rispetto agli uomini? Alla base di tale scelta vi è in primo luogo il bisogno di occuparsi dei figli e dei familiari anziani.
L’Italia è infatti il quinto paese con un Gap sul tempo di lavoro di cura più elevato. Infatti, le donne passano in media 5 ore al giorno per il lavoro di cura rispetto agli uomini che non arrivano a 2 ore e mezza.
I dati hanno mostrato una relazione tra il lavoro di cura non retribuito e la partecipazione al mercato del lavoro. Quando le donne scelgono di non lavorare, lo fanno anche perché su di loro pesa l’onere di doversi prendere cura dei figli o di altri familiari. E, come già detto, molto spesso si tratta di una scelta anche economica: se le donne vengono pagate di meno degli uomini, perché discriminate o perché in generale è più probabile che svolgano part-time, allora sarà più probabile che a loro non convenga neanche iniziare a lavorare e dover aumentare i costi relativi alla cura della famiglia (nidi, baby-sitter).
Il gender salary gap in Italia
A parità di lavoro con un collega uomo, in Italia è come se una donna cominciasse a guadagnare dal 7 febbraio. Secondo l’Osservatorio JobPricing, che monitora il settore privato ad esclusione di sanità e istruzione private, per l’anno 2020 ha registrato un pay gap calcolato sulla RAL annuale Full Time Equivalent (FTE) pari al 11,5%, che arriva al 12,8% considerando la RGA (retribuzione globale annua), che include anche la quota variabile della retribuzione monetaria. Rispetto al 2019, il pay gap è cresciuto di 0,4 punti per la RAL (retribuzione annuale lorda) e di 2,4 punti per la RGA.
Nel 2020 si registra un pay gap a favore delle donne tra i 15-24 anni (gap 1%), ma il gap cresce vertiginosamente con l’età. Già dalla classe di età superiore i lavoratori iniziano a guadagnare più delle lavoratrici arrivando a superare il 30% nelle classi di età più avanzate oltre i 55 anni (36% gli over 65). Le cause sono da ricondursi, tra le altre, a una penalità salariale dovuta alla maternità che per le lavoratrici italiane è stata stimata in -53 % del salario pre-maternità a quindici anni dalla maternità e in un salario settimanale inferiore del 6 per cento rispetto alle lavoratrici senza figli.
In generale, le donne sono meno soddisfatte degli uomini del proprio pacchetto retributivo, percepiscono iniquità tra la propria retribuzione e quella dei colleghi.
Secondo lo studio, in una scala cha va da 0 a 10 le donne dichiarano un punteggio di 3.9 per quanto riguarda la soddisfazione generale della propria retribuzione mentre gli uomini di 4.6. Per quanto riguarda l’equità 3,9 per le donne e 4,8 per gli uomini. Guardando la soddisfazione rispetto all’anno della pandemia e alla fiducia rispetto all’anno in corso, sebbene i livelli degli indici siano in media più alti delle valutazioni “standard”, il gap resta (4,4 per le donne e 5,1 per gli uomini).