Finalmente online i dati relativi all’indagine esplorativa Istat-UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone trans e non binarie. Si tratta della conclusione di un lungo percorso relativo al progetto di ricerca “Discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ e le diversity policies attuate presso le imprese”, definito e avviato nel 2018. Con l’acquisizione di questi ultimi dati si cerca di porre l’ultimo tassello al nobile progetto di eliminare tuttele discriminazioni legate all’identità di genere sia in ambito lavorativo che in tutti i contesti della vita quotidiana.
L’istat e l’UNAR hanno raccolto i dati basandosi su un campione di convenienza, formato esclusivamente da persone, che su base volontaria, hanno scelto di rispondere al questionario. Tutti coloro che hanno preso parte all’indagine hanno dovuto registrare sia il proprio sesso alla nascita che la propria identità di genere al momento della compilazione del questionario. Si parla di ben 630 persone: 34,1% uomini trans, il 19,4% donne trans e il 46,5% persone con identità di genere non binaria. Sono state inoltre raccolte informazioni sul background familiare e sul coming out, quindi sull’affermazione di genere e sulla reazione della famiglia d’origine. Successivamente attraverso il questionario si è potuto indagare: sulla condizione lavorativa, su eventuali esperienze di discriminazione vissute a scuola o all’università, discriminazione in fase di accesso al lavoro e nello svolgimento della propria attività lavorativa.
Da quanto emerge dall’indagine condotta:
Purtroppo i dati negativi non si fermano qua. Di seguito i dati relativi all’ambito lavorativo
Dai dati raccolti è emerso che circa un 40,6% dei dipendenti o ex dipendenti ha dichiarato di aver subito almeno un episodio discriminatorio legato alla propria identità nel proprio posto di lavoro. Tra le principali forme di violenza segnalate vi sono: mancate promozioni e avanzamenti di carriera e una retribuzione inferiori rispetto ai colleghi. Inoltre circa un 23% dichiarano di essere stati costretti a non richiedere congedi o permessi per evitare che venissero rifiutati e per non creare un ambiente di lavoro ostile nei loro confronti. Un dato allarmante riguarda la discriminazione nei confronti del proprio aspetto esteriore, si parla del 47,9% degli intervistati. Per concludere un 8,7% dei dipendenti o ex-dipendenti ha riferito che, in esperienze lavorative precedenti, sono stati licenziati, messi in cassa integrazione, o costretti a dimettersi a causa della propria identità di genere
Inoltre, molti di loro hanno provato a chiedere aiuto. Circa 8 persone su 10 hanno condiviso l’esperienza dell’ultimo episodio discriminatorio subito sul posto di lavoro. Tuttavia, di questi, ben 7 su 10 non hanno intrapreso alcuna azione in seguito a quanto vissuto.
Tra gli intervistati un 37,1% dichiara di aver subito un’aggressione legata alla propria identità di genere nel proprio ambiente lavorativo. Il fenomeno sembra essere più diffuso tra le persone con identità non binaria (41,7%), le donne trans (39,7%) e i lavoratori più anziani (43,3% tra i 35enni e oltre).
Tra le forme di aggressione più comuni vi sono: le umiliazioni calunnie o derisioni derisioni (29,6%), seguite da minacce verbali o scritte (12,2%), molestie sessuali (11,9%) e l’esclusione totale da compiti o riunioni (11,6%). In minor misura, il 6,8% ha riferito di aver subito controlli disciplinari senza giustificazione. La percentuale aumenta 86,4% se si parla di micro aggressioni (insulti verbali, non verbali, e/o visivi) in ambito lavorativo.
Rivelati anche gli autori , che nella maggior parte dei casi sono colleghi di pari grado (52,3%) e superiori (45,9%). Tra coloro che hanno raccontato l’episodio a qualcuno, ben 6 persone su 10 non hanno intrapreso alcuna azione concreta. Solo il 22,9% ha deciso di confrontarsi con i responsabili dell’episodio, cercando di evitare che tali situazioni si ripetessero.
Continua ad aumentare la percentuale relativa a chi ha subito discriminazione in ambito scolastico e universitario, circa un 66%. Questo dato è ancora più allarmante per le donne trans, con una percentuale che raggiunge il 71,1%, seguite dalle persone non binarie (68,1%) e dagli uomini trans (62,7%). Tra le forme di discriminazione più comuni vi è: l’offesa, la ridicolizzazione seguita da un isolamento sociale. Nei casi più gravi esami o interrogazioni sono stati influenzati all’identità del genere del candidato. Non sorprende che gli insegnanti e i docenti siano identificati come responsabili nel 45,1% dei casi. Le conseguenze di continui insulti e dell’isolamento sociale hanno portato un 26,3% degli intervistati ad interrompere i propri studi molti hanno cambiato scuola o addirittura rinviato l’affermazione della propria identità di genere.
I dati raccolti raccontano di una realtà inquietante e inaccettabile. È inaudibile che per essere accettati in ambito lavorativo molti degli intervistati, un 69%, abbiano deciso di nascondere la propria identità di genere evitando di parlare della propria vita privata, tutto questo per non essere giudicati o aggrediti. Diventa inaccettabile se si considera che il 44,5% degli intervistai è costretto a modificare il proprio aspetto esteriore con pettinature, trucco e abbigliamento. A questi si aggiunge un 35% che hanno dovuto cambiare intenzionalmente il proprio timbro di voce, il proprio comportamento. Tutto questo solo per evitare di esporsi e per proteggersi da possibili aggressioni.
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