L'emergenza siccità sta devastando la nostra Isola. La biodiversità sta morendo e con essa anche il futuro del popolo siculo.
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La Sicilia è da sempre l’Isola dell’acqua, un luogo dove l’azzurro della Conca d’Oro (a Conca d’Oru) brillava come un gioiello incastonato nel cuore del Mediterraneo. D’altronde ad affascinare i suoi numerosi visitatori erano principalmente gli abbondanti corsi d’acqua. Primo fra tutti il “Fiume del Maltempo”, che dilagava con le piogge abbondanti, e ancora il “Fiume d’Occidente”, un angolo di paradiso dove sorgevano immense piantagioni di papiro.
Purtroppo, oggi non vi è più traccia di queste meraviglie paesaggistiche. Non c’è più acqua, non c’è più vegetazione, e gli animali muoiono di sete. I siciliani osservano impotenti la loro terra morire e il loro futuro sfumare.
La regione Sicilia è ormai da tempo in zona rossa. Ad inizio anno il governo Schifani, aveva dichiarato lo stato di calamità naturale per la mancanza di acqua. Ma già nel 2023 le cose non andavano bene, la situazione era già precaria. Si era infatti registrato un deficit di precipitazioni. Solo a Catania vi era stato un crollo di precipitazioni annue di quasi un -80%. Il quadro generale non migliora se si considera che in 150anni la Sicilia ha distrutto il 95% delle sue zone umide, trasformandole in aree urbane o terreni agricoli.
Forse quello che non permette la totale risoluzione del problema sono le infrastrutture inadeguate, non esistenti e non a norma. Ad esempio osservando le dighe presenti in Sicilia, se ne registrano circa 29, che ad oggi contengono il 23% di acqua in meno rispetto all’anno scorso.
Uno degli aspetti critici del problema è che molte dighe in Sicilia sono datate, addirittura risalenti al 1980. E con il passare del tempo, l’accumulo di limo ha significativamente ridotto la capacità di trattenere acqua, anche durante periodi di piogge abbondanti. Inoltre, circa il 42% dell’acqua viene dispersa a causa delle tubature obsolete e mal funzionanti.
Già da questi pochi dati si evince il totale stato di abbandono in cui si trova la Sicilia. La vita dei siciliani e del loro futuro è interamente legata al Piano di azione da venti milioni di euro per l’emergenza idrica. Pochi giorni fa la Presidenza della Regione ha pubblicato un avviso, dichiarando che “circa il 50 per cento delle opere previste è stato portato a termine o è già in corso di ultimazione.” Viene inoltre dichiarato che questo “ ha permesso, a meno di un mese dall’approvazione del Piano da parte del dipartimento nazionale della Protezione civile, il recupero, in termini di litri al secondo, già del 50 per cento dell’apporto aggiuntivo previsto dal Piano; un ulteriore 20 per cento si aggiungerà con le opere completate entro la fine di luglio. “
Tutto questo non basterà mai. I 20 milioni sono insufficienti se si considera che erano stati chiesti dalla giunta regionale investimenti da oltre 130 milioni di euro. Si può ben comprendere che ad affossare la Sicilia non sia la siccità, ma ben altre cause.
Tutti i nuovi piani di intervento sono inutili se ancora ad oggi, in piena estate e con temperature che arrivano a sfiorare i 40 gradi, molti siciliani sono costretti per interi giorni a non poter usufruire dell’acqua potabile. Si contano più di 160 comuni siciliani costretti a limitare le forniture d’acqua. Tutto questo ha gravi ripercussioni sul turismo. La Sicilia senza acqua sta allontanando i turisti. Questa situazione è diventata un argomento allettante per i network internazionali, tanto che una rete importante come la Cnn ha descritto senza mezzi termini le difficoltà di Agrigento e l’impatto della siccità su un settore chiave dell’economia locale e dell’intera Isola: il turismo. Le affermazioni della Cnn sono devastanti: “Su TripAdvisor e altri forum di viaggio i turisti si chiedono se valga la pena visitare le aree colpite della Sicilia. Gli hotel stanno avvisando i clienti di potenziali carenze e stanno aiutando i visitatori a prenotare di nuovo altrove sull’isola dove le restrizioni sono meno severe o non sono in vigore”. Le piccole imprese turistiche sono con le spalle al muro, non essendo in grado nemmeno di garantire l’acqua per gli scarichi del WC.
Recentemente, il The Guardian ha pubblicato un reportage sull’emergenza idrica in Sicilia, raccogliendo le testimonianze di alcuni allevatori dell’entroterra. Tra questi, Luca Cammarata, che possiede oltre 200 capre, ha raccontato la sua drammatica esperienza.
Cammarata descrive un paesaggio arido, simile alla superficie lunare, dove il suo gregge è costretto a pascolare. Le capre, un tempo libere di nutrirsi di erba fresca, ora si trovano a brucare erbacce secche e a dissetarsi con l’acqua di uno stagno fangoso. Con voce carica di rammarico, ha dichiarato: “Se le cose continuano così sarò costretto a macellare il mio bestiame e a chiudere la mia fattoria“. Aggiungendo che : “La situazione è drammatica, non c’è più acqua da bere per gli animali. L’unica risorsa idrica che abbiamo è questo laghetto artificiale, ma ora non c’è altro che fango. Chiediamo alle autorità di inviare l’esercito per aiutarci a portare l’acqua alle fattorie. Non possiamo lasciare che gli animali muoiano. Un allevatore non può sopportare di vedere i propri animali morire di sete”.
L’unica ancora di salvezza per le aziende zootecniche, che possono permetterselo, sono le autobotti private, indispensabili per mantenere in vita il bestiame. Tuttavia, ciò di cui si ha bisogno sono interventi immediati, non piani d’azione che porteranno sollievo solo dopo anni.
Christian Mulder, professore di ecologia ed emergenza climatica presso l’Università di Catania, ha parlato al The Guardian riguardo la drammatica situazione siciliana. L’egregio professore ha dichiarato: “Entro il 2030, un terzo del territorio della Sicilia diventerà un deserto, paragonabile alle terre della Tunisia e della Libia. L’intera fascia che si affaccia sul Canale di Sicilia è destinata alla desertificazione. Gli antichi arabi che un tempo abitavano l’isola avevano escogitato con successo modi per gestire l’acqua. Tuttavia, questi vecchi acquedotti non sono stati mantenuti o aggiornati. La Sicilia sta ora affrontando le conseguenze concrete di decenni di cattiva gestione delle risorse idriche . È vero che la Sicilia sta diventando più tropicale [in termini di temperature]“, aggiungendo: “Ma nelle aree tropicali, non è raro avere 2-3 metri di pioggia all’anno, ben lontani dalle medie della Sicilia”.
La terribile siccità continua a fare nuove vittime. Prima fra tutte il lago di Pergusa, l’unico di origine naturale della regione e tappa fondamentale di riposo degli uccelli migratori. A sparire anche il Lago Rosamarina nel palermitano, uno dei bacini idrici più grandi dell’isola. Il lago, che un tempo era una risorsa fondamentale per l’agricoltura, l’approvvigionamento idrico e la biodiversità locale, si è notevolmente ridotto, con molte aree che risultano completamente asciutte. La lista purtroppo è molto lunga: Il lago Disueri, nel comune di Gela, in provincia di Caltanissetta, il lago Fanaco a Palermo, il lago formato dalla diga Nicoletti, posto a valle di Enna, il lago Ogliastro e il lago Pozzillo nel catanese.
Scomparsi del tutto i bacini idrici, che dovrebbero essere utilizzati per irrigare i campi, fornire acqua alla fauna locale e al bestiame e, cosa altrettanto importante, rifornire d’acqua le riserve dei carabinieri forestali per affrontare i frequenti incendi di questo periodo dell’anno. Con i laghi muore anche l’agricoltura. Gli scienziati avvertono che la crisi climatica potrebbe eliminare le colture agricole tradizionali del Mediterraneo, costringendo gli agricoltori a rivolgersi a coltivazioni tropicali. I ricercatori dell’Orto Botanico di Palermo hanno osservato per la prima volta la fioritura della welwitschia, una pianta nativa del deserto del Namib in Africa meridionale.
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