Si avvicina la data delle nuove Elezioni politiche e, con questa, ancora una volta lo spettro dell'astensionismo. Bisognerà attendere per consultare dati certi sull'affluenza nel corso del 25 settembre, ma è già possibile notare come lo scorrere del tempo abbia comportato una graduale ma notevole riduzione della partecipazione al voto.
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La fine dell’attuale legislatura, la diciottesima, era fissata a marzo 2023. A modificare le date è stato, tuttavia, il subentrare della crisi di Governo prima, l’annuncio delle dimissioni del Premier Mario Draghi e lo scioglimento delle Camere poi. Gli italiani, dunque, si recheranno alle urne anticipatamente, già a settembre 2022: si voterà soltanto giorno 25, dalle ore 7:00 alle ore 23:00. Ma in quanti adempiranno a questo dovere civico? Il confronto tra dati sull’affluenza registrati nel corso dei diversi anni, oltre che le parole degli esperti, non fanno ben sperare.
Ciò che gli ultimi anni, tra il resto, hanno dimostrato è che la partecipazione al voto in Italia è in forte calo. Basta osservare e confrontare i dati presentati dall’Archivio storico elettorale (interno al portale delle elezioni del Ministero dell’Interno Eligendo) per rendersene conto.
Non si potrà che partire dal 1948. Tra domenica 18 e lunedì 19 aprile si tennero, allora, le Elezioni politiche per il rinnovo dei due rami del Parlamento Italiano, ovvero la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica. Gli italiani votanti per la Camera furono 26.855.741 su 29.117.554, il ben 92.23%. Tasso, questo, quasi identico a quello dell’affluenza legato al voto per il Senato, che raggiunse il 92,15 %.
Esattamente settant’anni dopo si sono tenute le ultime elezioni politiche che hanno registrato numeri lontani, specchio di una partecipazione elettorale nettamente mutata. L’affluenza alle elezioni del 2018 ha raggiunto appena il 72,94% per la Camera, il 73,01% per il Senato.
Dall’oltre 92% al quasi 73%: si nota uno scarto netto tra le Elezioni politiche “agli estremi”. E, nel frattempo, cosa è accaduto?
Nel 1953 ancora più italiani hanno espresso una preferenza: raggiunti il 93,84% di votanti per la Camera, 93,78% per il Senato ovvero dati quasi identici a quelli riportati al termine delle successive elezioni, quelle del 1958 (93,83% per la Camera, 93,98% per la Senato).
Tra alti e bassi, fino al 1976 l’affluenza non ha registrato variazioni significative e si è attestata sempre al di sopra del 92%. Un cambio di rotta emerge già a partire dalle Elezioni politiche del 1979, quando è stato registrato il 90,62% per la Camera e il 90,69% per il Senato: un calo, rispetto al ’76, pari a quasi 3 punti percentuali.
Da questo momento inizia una fase discendente destinata a non arrestarsi. Si notino i tassi sull’affluenza fino al 2013: nel giro di un trentennio il numero di votanti è ridotto di quasi il 13%.
Eccetto che nel 1987 e nel 2006, ogni nuova elezione ha segnato un “meno” rispetto alla precedente. Ad ogni modo, come già anticipato, il dato più preoccupante è quello legato alle ultime Elezioni politiche in Italia. Cosa aspettarsi dalle prossime?
Il confronto tra i dati innesca inevitabilmente un quesito: “In quanti si recheranno alle urne il prossimo 25 settembre?”. In attesa di risposte certe, è possibile farsi un’idea attraverso alcuni sondaggi. Secondo quello di Tecné, realizzato lo scorso 8 agosto, quasi la metà degli italiani intervistati (il 45,2% per la precisione) non saprebbe ancora a chi riservare il proprio voto né se, il mese prossimo, uscirà di casa per esprimere una preferenza.
Anima diversi sondaggisti, poi, la convinzione che la partecipazione degli italiani sarà inferiore a quella registrata nel 2018, già in calo rispetto al 2013.
Il trend di disaffezione dei cittadini alle urne non dovrebbe arrestarsi anzi, secondo quanto riferito da Nicola Piepoli ad Adnkronos già a fine luglio, il tasso di affluenza dovrebbe scendere ancora di 2 o 3 punti percentuali. Il sondaggista, ad ogni modo, non esclude del tutto la possibilità di un “risveglio popolare”: si tratterebbe, ad ogni modo, di un’ipotesi meno accreditata.
A credere che si consulteranno numeri peggiori è anche Maurizio Pessato.
“Il trend sarà in calo rispetto al 2018“: dichiara questo secondo sondaggista sempre ad Adnkronos.
Quali fattori si celano dietro la graduale crescita del “partito del no”? Dalle radici “storiche” all’attualissima e ben diffusa sfiducia o delusione dei cittadini per forze politiche spesso divise e in contrasto: il tema dell’astensionismo è complesso e prevede almeno la menzione di questi ed altri punti.
Tra il resto, potrebbe essere considerato anche il fatto che la possibilità di voto sarà limitata a poche ore: solo un giorno, festivo, di settembre verrà di fatto riservato alle elezioni. È sempre stato così? La risposta è “no”: nel corso della Storia repubblicana, dodici volte si è votato per due giorni, tanto domenica quanto lunedì. Per sette Elezioni politiche (tra cui le ultime, del 2018) è stato, al contrario, stabilita un’unica data.
Di particolare rilievo, però, il nodo della partecipazione alle elezioni di giovani e fuorisede, categorie che nella maggior parte dei casi coincidono. Secondo recenti stime Istat, circa 4,9 milioni studenti o lavoratori fuorisede dovrebbero necessariamente far ritorno a casa per votare: ciò perché la Legge italiana, almeno per il momento, prevede che il diritto di voto venga esercitato esclusivamente nel Comune di residenza.
E, come ribadito dal comitato civico Iovotofuorisede, sono proprio i giovani di età compresa tra i 18 e i 35 anni, lontani per formazione o ricerca di un primo impiego, ad essere maggiormente colpiti negativamente dalla mancanza di una legge che tuteli il diritto di voto in mobilità.
Ciò significa anche che il corpo elettorale risulta formato in maggioranza da persone più anziane e ciò incide nettamente anche sui temi cardine della campagna elettorale, sull’agenda politica.
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