In Italia un giovane su quattro non studia, non ha intrapreso un percorso di formazione e non gode di un lavoro. Viene, dunque, definito "NEET". Come cambiare i numeri, tutt'altro che confortanti? Nelle scorse ore è stato firmato un decreto contenente un Piano strategico.
L’Italia spicca ancora tra gli altri, ma stavolta non per ragioni in grado di far gioire: si vive in un Paese in cui un giovane su quattro non studia né lavora.
Un record a livello europeo, secondo l’ultimo rapporto “Education at a Glance” dell’OCSE, reso pubblico nelle lingue inglese, francese e tedesca. Questo, più in generale, offre una panoramica sullo stato dei sistemi di istruzione dei Paesi aderenti all’Organizzazione.
“In Italia siamo ormai al 25% dei giovani Neet, secondo l’ultima stima dell’OCSE. Questo non è più ammissibile”: così, secondo quanto riportato da Il Corriere della Sera, ha commentato i dati Maria Cristina Messa, Ministra dell’Università e della Ricerca, nel corso dell’inaugurazione dell’anno accademico del Gran Sasso Science tenutasi lo scorso 12 gennaio.
Tuttavia qualcosa sembra muoversi. Arriva, ora, un piano strategico del Governo pensato per aiutare questi cittadini.
NEET: cosa è successo con lo scoppio della pandemia?
I numeri finora indicati, tutt’altro che incoraggianti, sono conseguenza diretta della pandemia? Ciò che emerge da grafici e numeri interni al rapporto “Education at a Glance” è un peggioramento, sì, ma di una situazione già critica prima dell’avvento del Covid-19.
Nel “Bel Paese” nel 2019, ovvero l’ultimo anno all’insegna della normalità, i soggetti di età compresa tra i 18 e i 24 anni che non si dedicavano allo studio né godevano di un impiego corrispondevano al 24,2%, percentuale già superiore a quella presentata da altri Stati.
Nell’anno dello scoppio della pandemia (2o20), il tasso di NEET (acronimo inglese di “Neither in Employment or in Education or Training” o anche “Not in Education, Employment or Training”) è salito al 25,5%.
E gli altri Paesi? Dati peggiori di quelli registrati dall’Italia sono solo quelli presentati dal Sudafrica, con il 43,8% di NEET nel 2019 e persino il 45% nel 2020, e dalla Colombia, che nel giro di un solo anno è passata dal contare il 27,6% di questi giovani ad includerne il 34,5%.
Considerando questo specifico report, dunque, in Europa l’Italia ha contato la più alta percentuale di persone non occupate né iscritte a corsi di istruzione o formazione. Seguono:
Si precisa, tuttavia, che un aumento di NEET ha riguardato la maggior parte dei Paesi dell’OCSE: in media, la quota è passata dal 14,4%, nel 2019, al 16,1% soltanto l’anno seguente.
Un dato apparentemente positivo è quello legato al tasso di disoccupazione di giovani italiani di età compresa tra i 25 e i 34 anni, che hanno precocemente lasciato gli studi e, dunque, sono sprovvisti di diploma. Nel 2020 questo si è attestato al 20,3%, il che significa che è stato registrato un calo di un punto percentuale rispetto all’anno precedente. E ciò mentre il tasso medio di disoccupazione dei Paesi dell’OCSE saliva, nello stesso arco di tempo, di 2 punti percentuali.
Perché tale dato non dovrebbe rassicurare? Dietro questa riduzione tutta italiana si celerebbe proprio un aumento di giovani inattivi.
In tempo di crisi, anche economica, il passaggio dall’istruzione al lavoro è risultato, ancora una volta, particolarmente problematico per le giovanissime. In primo luogo occorrerà sottolineare che, nel 2020, gli uomini (sempre tra i 18 e i 24 anni) che non studiavano né lavoravano corrispondevano al 58,2%, percentuale ben lontana dal 65,4% di donne della stessa età nella stessa condizione.
Nello stesso anno, soltanto il 30% delle donne con un’età compresa tra i 25 e i 34 anni ed in mano la sola licenza media ha intrapreso una carriera lavorativa. Gli uomini che sono riusciti in questa “impresa” possedendo lo stesso titolo di studio sono stati più del doppio, il ben 64%.
E nel resto del mondo? Negli altri Paesi dell’area OCSE non vige, certo, piena uguaglianza di genere ma lo scarto è sicuramente meno netto: con lo stesso diploma di istruzione secondaria di primo grado, lavora il 43% delle donne e il 69% di uomini.
Resta da chiedersi se, almeno una volta assunte, in Italia le donne godano dei medesimi diritti riservati agli uomini. Anche il rapporto dell’OCSE, sfortunatamente, sottolinea il contrario.
Considerando i dati del 2020, emerge che in Italia le donne con un’istruzione terziaria guadagnano una cifra corrispondente al 71% del salario percepito dai colleghi uomini. A chi ha ottenuto un diploma, invece, spetta il poco più alto 79%.
Nel corso dei mesi all’insegna dell’emergenza sanitaria non sono cambiati solo i numeri legati ai NEET. La diffusione del Coronavirus ha scatenato un fenomeno anomalo, inaspettato: le scuole hanno chiuso per un lungo periodo.
Il rapporto “Education at a glance” fornisce anche dei numeri a riguardo, precisando che nei primi 18 mesi di pandemia gli istituti superiori della Penisola sono rimasti vuoti per ben 90 giorni. Ben 20 in più rispetto alla media dei Paesi OCSE, di 70 giorni di chiusura. In altre parti d’Europa, tuttavia, la scelta è stata più drastica. Basti pensare che, nello stesso periodo, in Slovacchia gli studenti delle superiori non hanno popolato le classi per ben 115 giorni.
Quel che è certo è che la Didattica a Distanza, strumento per certo utile per diversi aspetti, ha reso più complesso seguire quegli studenti che hanno rischiato o rischiano di abbandonare gli studi e, forse, di trasformarsi in NEET.
I dati sui NEET dell’Organizzazione per la cooperazione allo sviluppo economico, sono stati confermati, oltre che dall’ISTAT, dal report “Neet working” messo a punto dal Ministero per le Politiche giovanili: questo, secondo quanto riportato da Il Sole 24 ore, riferisce che 3 milioni di italiani tra i 15-34 anni possono essere considerati NEET. Di fatto si ribadisce che uno su quattro (in questo caso il 25,1%) non va lavoro, non studia né ha intrapreso un percorso formativo.
Nelle scorse ore, tuttavia, è arrivata una notizia che fa ben sperare. Fabiana Dadone, Ministra per le Politiche Giovanili, ha firmato un decreto congiunto con Andrea Orlando, Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, contenente misure a favore dei tanti giovani inattivi. È quanto annunciato attraverso una nota visibile sul sito istituzionale del Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale.
L’obiettivo del piano strategico, definito non a caso “Piano NEET”, è ridurre l’inattività di questi soggetti, attraverso degli interventi suddivisi in 3 macro fasi: Emersione, Ingaggio e Attivazione.
Gli strumenti sulla base dei quali si punta ad attuare queste fasi sono molteplici. Si tratta di:
“Dobbiamo riuscire a coinvolgere i ragazzi – ha dichiarato Fabiana Dadone – , fare emergere le loro posizione e provare ad ‘agganciare’ i ragazzi, spronandoli anche con azioni concrete.
Abbiamo predisposto un tour nelle le maggiori città italiane – continua – per raggiungerli nella loro ‘confort zone’, metterli a conoscenza dei progetti e delle iniziative. Vogliamo raccontarli che l’Italia è un Paese per giovani che offre la possibilità ad ognuno di loro la possibilità di realizzarsi”.
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