Ripartono le rappresentazioni classiche al teatro greco di Taormina. In scena sabato la prima di "Coefore Eumenidi" con la regia di Davide Livermore.
Dopo la fase più acuta dell’emergenza Covid-19, il teatro greco di Siracusa riparte con le rappresentazioni classiche. La ripartenza della Fondazione INDA (Istituto Nazionale Dramma Antico) inizia proprio con Eschilo, convenzionalmente considerato l’iniziatore della tragedia greca matura, e le sue “Coefore” ed “Eumenidi”.
Sabato 3 luglio 2021, la prima è andata in scena davanti a migliaia di spettatori. Presenti anche Luciana Lamorgese, ministra dell’Interno, Marta Cartabia, ministra della Giustizia, Nello Musumeci, presidente della Regione Siciliana, l’ex presidente del Senato, Pietro Grasso, l’attrice Lella Costa e il regista Robert Carsen che nel 2022 dirigerà a Siracusa Edipo Re di Sofocle.
Un matricidio è al centro della prima tra le rappresentazioni di quest’anno, che mette in scena gli ultimi due capitoli dell’Orestea, trilogia con la quale Eschilo vinse le Grandi Dionisie nel 458 a.C. Tralasciando “Agamennone”, primo episodio che narra l’uccisione del re di Argo, il regista Davide Livermore decide di partire dalla vendetta di Oreste.
Al posto di un allestimento classico, Livermore opta per una modernizzazione dell’opera – come spesso è accaduto negli ultimi anni –, ambientando le due tragedie a cavallo tra gli anni Venti e Trenta. Strizzando l’occhio al cinema e al musical, benché ricchissimo di suggestioni e citazioni, l’adattamento del direttore del teatro nazionale di Genova si presta tuttavia a suscitare pareri contrastanti. A dispetto di un cast eccezionalmente di talento, la forza e la complessità della tragedia eschiliana sembra, a tratti, perdersi tra pistole e paillettes, faticando a trovare radici nella contemporaneità. Ma andiamo per ordine.
Su una scenografia particolarmente accurata e maestosa – la neve ricopre il paesaggio, un globo a led fa da sfondo, un pianoforte e una cordiera occupano i lati – prende il via “Le Coefore”, secondo capitolo dell’Orestea. Dopo dieci anni, su ordine di Apollo (Giancarlo Judica Cordiglia) e accompagnato da Pilade (Spyros Chamilos), il figlio di Agamennone torna ad Argo per uccidere la madre e il suo complice, Egisto. Interpretato da un convincente Giuseppe Sartori, Oreste complotta, assieme alle prigioniere troiane e alla sorella Elettra, la bravissima Anna Della Rosa, per portare a termine la missione. La scena del riconoscimento tra fratello e sorella è sicuramente tra le più riuscite di tutto lo spettacolo.
È Laura Marinoni, uno dei nomi più importanti del teatro italiano contemporaneo, a interpretare poi Clitemnestra. Pesantemente rivisitata e non contestualizzata, la regina è presentata erroneamente al pubblico come un’adultera, instabile e alcolizzata, le cui azioni sono spinte da nient’altro che una lussuriosa passione verso Egisto. Quest’ultimo (Stefano Santospago), a sua volta, è dipinto come un donnaiolo superficiale e alla deriva. Con l’assassinio di entrambi, rappresentato sulla scena, prende il via la terza tragedia della trilogia: “Le Eumenidi”.
Protagoniste del terzo capitolo sono le Erinni (Maria Laila Fernandez, Marcello Gravina, Turi Moricca), dee antichissime della vendetta, alle quali è affidato il compito di perseguitare Oreste per essersi macchiato di matricidio. Rappresentate nel mito come creature alate con capelli di serpenti e coperte di armi per la tortura, nella trasposizione in questione sembra quasi di vederne una versione addomesticata. Ricoperte di lustrini, le Erinni di Livermore sono più svampite che feroci.
La loro caccia si arresterà ad Atene, dove la figlia di Zeus istituirà un tribunale. Formato dai migliori cittadini di Atene, l’Aeropago avrà il compito di assolvere o di condannare Oreste. Le Erinni saranno le accusatrici, Apollo il difensore e Atena (Olivia Manescalchi) la presidente della giuria. La tragedia terminerà con l’assoluzione di Oreste che, a parità di voti, si salverà grazie al voto favorevole della figlia di Zeus. Su suggerimento di Apollo, infatti, l’imputato offrirà l’alleanza militare di Argo a Sparta. Così, la legge del ghenos soccomberà di fronte alla ragion di Stato.
A chiudere definitivamente lo spettacolo, un finale in cui Oreste, seguito dagli altri personaggi, intona Heroes di David Bowie, mentre sul globo scorrono alcune immagini poco congruenti della storia repubblicana, dalla strage di Capaci a Peppino Impastato, da Aldo Moro al ponte Morandi.
A dominare la scena di “Coefore Eumenidi” sono soprattutto le donne. Accanto a quella di Giuseppe Sartori, la cui vis drammatica riesce a dare spessore al personaggio di Oreste, sono le interpretazioni magistrali di Anna Della Rosa, di Laura Marinoni e di Olivia Manascalchi a lasciare il segno. A dispetto di ciò, sembra tuttavia che l’adattamento dei due testi non dialoghi bene con la contemporaneità e con il punto di vista femminile.
Se l’ambientazione è moderna, la narrazione non lo è. Il processo di riattualizzazione del testo da parte di Livermore è infatti più che evidente, ma a conti fatti sembra riguardare esclusivamente l’aspetto formale e stilistico. Sebbene il testo di Eschilo abbia un’impostazione di per sé fortemente patriarcale, una rilettura moderna avrebbe dato forse l’opportunità di renderlo quantomeno evidente. Non solo ciò non avviene mai nel corso della rappresentazione, ma l’impressione che si ha è quella che la regia di “Coefore Eumenidi” amplifichi l’impostazione misogina dei due capitoli.
Le occasioni per introdurre nuovi chiavi di lettura non mancavano, poiché i germi si trovano già all’interno delle stesse opere. Nel caso di Clitemnestra si ignora, ad esempio, l’arco narrativo (più che contemporaneo!) del personaggio che, nell’Agamennone, da vittima si era trasformata in uxoricida. Uomo violento, il re di Argo l’aveva sposata dopo averne ucciso il marito e il figlio e, dopo le nozze, ne aveva sacrificato la figlia Ifigenia per ingraziarsi gli dei alla vigilia della partenza per Troia. Ben lontano dal capriccio di un’adultera, l’omicidio di Agamennone rappresenta, dunque, un momento di liberazione significativo e uno snodo fondamentale nella complessità dell’Orestea.
Il passaggio viene meno – e di conseguenza l’empatia nei confronti del personaggio – a causa dell’assenza del primo capitolo della trilogia. Tuttavia, certo è che un accenno, nel corso di una rappresentazione che riflette forse con troppa intensità l’assetto di una società fortemente patriarcale, non sarebbe guastato. Con il personaggio di Clitemnestra depotenziato e le Erinni addomesticate, si ha l’impressione infatti che la narrazione, quindi la percezione dello spettatore, sia spesso orientata, sbilanciandosi più volte in favore di Oreste e strizzando un occhio alla retorica di Apollo, che più che a un dio assomiglierà a un damerino affettato.
A dispetto della complessità dei meccanismi che regolano la tragedia di Eschilo, a risultare amplificata è così la sentenza finale di Atena: “A cuor la sorte mai d’una donna non avrò, che uccise lo sposo suo custode della casa”. Una scelta insidiosa in uno spettacolo riadattato per i giorni nostri, dove forse si sarebbe potuto fare di più per incontrare la sensibilità di un pubblico contemporaneo.
Viene il dubbio che, in altra sede, l’adattamento di Livermore sarebbe stato più convincente, grazie alle numerose qualità visive e sonore della messa in scena e della bravura alla compagnia. Probabilmente, all’interno di un progetto meno carico di responsabilità non avrebbe suscitato così tante pretese. Tuttavia, in un teatro come quello di Siracusa, luogo fortemente intriso di grecità e di mito, “Coefore Eumenidi” sembra peccare di troppa leggerezza. E, a parere di chi scrive, non è ancora questo il momento – né il luogo – per abbandonare la complessità.
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