L’Italia è a rischio per l’aumento del lavoro minorile dopo la pandemia. Lo dice lo studio “Il lavoro minorile in Italia: caratteristiche e impatto sui percorsi formativi e occupazionali“, effettuato dall’Ufficio Studi della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro.
I dati che emergono dall’indagine parlano chiaro: solo l’11,2% dei ragazzi italiani che inizia a lavorare a 16 anni inizia un percorso di studio e arriva alla laurea. Inoltre l’Italia si distingue in Europa con il 9,9% di giovani tra i 18 e i 24 anni che lasciano prematuramente gli studi. Si parla soprattutto dei territori Mezzogiorno, con picchi in Sicilia e Campania del 19,4% e 17,3%.
Stando a quanto riporta l’indagine, circa 2,4 milioni di italiani, di un’età compresa tra 16 e 64 anni, hanno lavorato prima del compimento del sedicesimo anno. Un fenomeno che ha penalizzato e continua a penalizzare le prospettive professionali: nel 2020, erano oltre 230mila, su 4,9 milioni di occupati con meno di 35 anni, a dichiarare di aver ricevuto una retribuzione già prima dei 16 anni.
I dati dell’indagine Forze di lavoro dell’Istat ha fornito sono ben precisi: chi inizia a lavorare prima dei 16 anni nel 46,5% dei casi consegue al massimo la licenza media; solo l’11,2% arriva alla laurea. Al contrario, chi entra nel mondo del lavoro in età legale, sono solo 18 su 100 coloro che si fermano alla scuola media inferiore mentre la percentuale dei laureati sale al 27,3%. Così, in una catena consequenziale, il lavoro minorile abbatte le possibilità di raggiungere i vertici della piramide professionale: solo il 17% arriva a svolgere una professione imprenditoriale, intellettuale o tecnica mentre si riscontra un valore quasi doppio (31,5%) tra quanti, al contrario, iniziano a lavorare più tardi.
Tra i più propensi ad abbandonare gli studi ci sono gli uomini, circa 7 su 10, mossi da esigenze di sostentamento della famiglia. Nella maggior parte dei casi sono del Nord Italia, in cui vi sono territori maggiormente dediti alla produzione e al turismo.