Agli occhi dei meno giovani, probabilmente, quanto si sta per raccontare non è del tutto nuovo. Al contrario, chi conta meno anni probabilmente non sa che a Catania, per un periodo, uomini e donne furono costretti a viaggiare separati per via dell’atteggiamento infelice dei primi. Ecco la storia con un “autobus rosa”, o “Concettina”, come protagonista.
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Fin dalle sue origini, Catania funge da scenario di singolari vicende e non sempre, per ripercorrerle, occorre raggiungere con la memoria le origini della città. Questa vicenda per esempio, inizia nell’autunno del 1960 ed i protagonisti non sono né il paladino Uzeta né il mago Eliodoro, bensì semplici operai ed operaie.
Chi all’epoca era impiegato presso la zona industriale della città avrà sicuramente sentito parlare della celebre linea 27, un autobus dell’azienda SCAT in partenza da piazza Duomo e usato dai più per recarsi sul posto di lavoro.
Tuttavia, seppur un breve periodo, un solo mezzo non fu sufficiente a frenare le molestie avanzate da alcuni uomini. Di fatto, nel corso degli spostamenti capitava non di rado che i giovani tentassero di avvicinarsi alle lavoratrici e di infastidirle, avvalendosi anche della confusione per passare più inosservati. Secondo alcune fonti, qualche volta, questa spiacevole abitudine avrebbe comportato, urla e richiami della donna vittima di queste attenzioni non richieste, la reazione di un fidanzato geloso o persino l’intervento degli agenti.
Di fronte al susseguirsi di questi episodi, probabilmente, la nascita di “Concettina” apparve necessaria: con tale appellativo, tuttavia, non si fa riferimento ad una persona ma ad un secondo bus riservato a sole passeggere.
Ma come si passò dalle lamentele ai fatti? Secondo quanto narrato da Salvatore Nicolosi in “Uno splendido ventennio “, tutto era partito da un ostinato controllore, impiegato in piazza Duomo. Quest’ultimo decise di denunciare ufficialmente, compilando uno dei moduli riservati dall’azienda alle comunicazioni di servizio, la strana abitudine degli uomini di salire sui bus con più operaie e la conseguente partenza di alcuni mezzi stracolmi.
A quel punto il direttore della società ordinò che due agenti verificassero quanto messo per iscritto. L’ispezione permise di constatare come quanto reclamato dalle giovani, in effetti, coincidesse con quanto osservato dal personale. Da qui, l’intervento del questore e lo sdoppiamento.
Quel che è certo è che, da un momento all’altro, agli uomini venne sbarrato l’ingresso del mezzo con dentro donne. Il malcontento di questi, costretti ad attendere il bus originario, non si fece attendere. D’altra parte il provvedimento, che risultò tutt’altro che provvisorio, finì per provocare anche allontanamenti non voluti e non pochi disagi.
Chi ripercorre con la memoria la vicenda di quello che sarebbe stato definito anche “autobus rosa”, di fatto, non omette un particolare: non solo i giovani etichettati come “galli” ma anche le coppie, quelle autentiche, chiesero spiegazioni su quanto disposto e si ribellarono.
Il fatto che per un periodo quotidianamente “Concettina”, per il sesso femminile, e “Coi Baffi”, per quello maschile, partissero da un punto comune e raggiungessero un’unica destinazione non richiamò soltanto l’attenzione di altri Paesi ma anche le loro risa. Un giornale argentino, per esempio, scelse di dedicare agli infelici atteggiamenti di quelli che vennero definiti “Sicilianos fogosos”.
“Erano così tanto gentili con le donne sui bus – scrissero con un sarcasmo amaro – che ora c’è un servizio ‘per sole donne’”.
Un secondo quotidiano, questa volta francese, usò parole diverse:
“I Catanesi – si lesse – sono troppo intraprendenti. Donne e uomini verranno separati negli autobus”.
Dal Washington Post ai settimanali tedeschi, tutti vollero condannare a proprio modo quegli approcci maschili, oltre che la cattiva gestione della vicenda per cui, con ogni probabilità, non era stata trovata la soluzione più giusta.
A quel punto, il direttore dell’azienda di trasporti ed il questore inviarono lettere ai giornali locali, dichiarando di non essere gli ideatori della chiacchieratissima disposizione.
Dopo qualche tempo, quel che erano noto anche come “l’autobus rosa” sparì di scena: uomini e donne tornarono a percorrere il tragitto, lungo circa 15 chilometri e dalla durata di mezz’ora, su stesse ruote. La “doppia linea 27” così smise di esser cronaca ma si trasformò, e rimase, Storia.
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