A causa della pandemia, tantissime persone si sono ritrovate a condividere la stessa emozione: il "languishing". Cos'è e come affrontarlo? Lo spiegano gli esperti.
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Da non confondere con la depressione, il “languishing” è la nuova “emozione” che ha accomunato moltissime persone – i giovani in particolare –, in questo lungo periodo di pandemia fatto di paure, restrizioni e ansie.
Secondo uno studio pubblicato sul New York Times, esiste una nuova emozione definita “languishing”. Si tratta di un vero e proprio senso di vuoto, una sensazione simile all’apatia.
“Non era esaurimento avevamo ancora energia. Non era depressione, non ci sentivamo senza speranza. Ci sentivamo solo un po’ senza gioia e senza meta. Ti senti confuso tra i giorni, come se guardassi la tua vita da un finestrino appannato Non hai sintomi di disagi psichici, ma non sei neanche il ritratto della salute mentale. Non funzioni al massimo delle tue capacità. È l’assenza di benessere. Il ‘languishing’ spegne la tua motivazione e distrugge la tua capacità di concentrarti”. Lo spiega Adam Grant, psicologo alla University of Pennsylvania, spiegando il significato di questa nuova emozione.
Il docente, autore anche del libro “Think Again: The Power of Knowing What You Don’t Know”, aggiunge: “Il languore non ti fa funzionare a pieno regime. Smorza la tua motivazione, disturba la tua capacità di concentrazione e triplica le probabilità che tu riduca il lavoro. Sembra essere più comune della depressione maggiore – e in qualche modo può essere un fattore di rischio maggiore per la malattia mentale“.
Il termine è stato coniato da Corey Keyes, un sociologo che, durante la pandemia, si è occupato di osservare come essa non colpisse solamente da un punto di vista fisico ma anche psichico. Notò che molte persone che non soffrivano di depressione non riuscivano nemmeno ad andare avanti. Non avevano stimoli, erano senza spunti.
Secondo la sua ricerca, le persone più propense ad una futura depressione o a dei futuri disturbi d’ansia nel prossimo decennio sono le persone che stanno languendo in questo momento. A causa di questa nuova sensazione, si “sprofonda” inconsapevolmente verso una solitudine e verso una indifferenza pericolosa poiché si rischia di essere indifferenti alla stessa indifferenza.
Questo perché, come scrive Grant, “quando non riesci a vedere la tua sofferenza, non cerchi aiuto e nemmeno fai molto per aiutarti. Anche se non stai languendo, probabilmente conosci persone che lo stanno facendo. Capirlo meglio può aiutarti ad aiutarle”. È fondamentale però, che ci si renda conto di questa condizione. Bisogna essere consapevoli di ciò verso cui potremmo andare in contro imparando a riconoscerla e a curarla nella giusta maniera.
Come fare? Lo psicologo spiega che “dargli un nome potrebbe essere un primo passo. Potrebbe aiutarci a snebbiare la nostra visione, dandoci una finestra più chiara su quella che era stata un’esperienza sfocata. Potrebbe ricordarci che non siamo soli: il languore è comune e condiviso. Quando aggiungi il languore al tuo lessico, inizi a notarlo intorno a te. Si manifesta quando ti senti deluso dalla tua breve passeggiata pomeridiana. È nella voce dei tuoi figli quando chiedi come è andata la scuola online”.
Il languore non deve essere il nostro peggior nemico, lo si deve affrontare con coraggio e audacia. Bisogna reagire ed è importante farlo per noi e per chi ci sta attorno. É fondamentale trovare nuove sfide, nuovi stimoli, nuove opportunità; combattere la routine e intraprendere esperienze piacevoli, sia nella vita privata che nel lavoro, al fine di impegnare la nostra mente ed evitare di sprofondare nel languore perché, come suggerisce Grant: “le persone che si sono immerse nei loro progetti sono riuscite ad evitare il languore e hanno mantenuto la loro felicità prepandemica”.
Quel che serve dunque è concentrarsi su qualcosa, un progetto, una passione, un obiettivo. Bisogna riscoprirsi e ritrovare l’energia e l’entusiasmo di cui si è stati privati durante tutti questi mesi, perché è fondamentale stare bene con se stessi prima ancora di stare bene con gli altri.
“Viviamo ancora in un mondo che normalizza le sfide della salute fisica ma stigmatizza quelle della salute mentale – conclude l’esperto –. Come ci dirigiamo in una nuova realtà post-pandemica, è il momento di ripensare la nostra comprensione della salute mentale e benessere. ‘Non depresso’ non significa che non stai lottando. ‘Non esauriti’ non significa che si è entusiasti. Riconoscendo che così tanti di noi stanno languendo, possiamo iniziare a dare voce alla disperazione tranquilla e illuminare un percorso fuori dal vuoto”.
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