Il divario di genere in campo accademico e lavorativo è un argomento ancora, sfortunatamente, attuale. Ma da cosa è originato? E quali sono le sue conseguenze?
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Sin dai tempi delle scuole medie, gli studenti vengono messi di fronte a scelte talvolta più grandi di loro: prima fra tutte, scegliere la propria istruzione superiore, che a sua volta condurrà verso la carriera universitaria, veicolo di sviluppo per un futuro lavorativo più o meno stabile. In questa scelta, difficile già di per sé, opera un fattore che passa quasi in secondo piano, eppure onnipresente: la disparità di genere.
Quest’ultima, infatti, inizia sin dalle scelte di studio: è ancora molto diffuso lo stereotipo secondo il quale ai ragazzi spetti scegliere un istituto tecnico o scientifico, mentre alle ragazze sarebbe riservata l’area umanistica. Questa scelta, inoltre, va riproponendosi nel momento della scelta della propria facoltà: si rimarca ancora una volta il gran divario tra le facoltà relative al settore STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) e tutte le altre.
Il tema della disparità di genere è stato trattato a fondo da Maria Teresa Morana e Simonetta Sagramora, sul focus Le carriere femminili in ambito accademico, per la Gestione Patrimonio Informativo e Statistica del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca.
L’anno accademico appena passato, 2019/20, passato alla storia come il primo all’insegna del Covid-19, è cominciato con un boom di iscrizioni all’Università: ben 1.730.563, di cui più della metà (55,8%) al femminile.
Questo gran numero si è riversato maggiormente nelle facoltà a sfondo umanistico (Humanities and the Arts, circa il 78%), andando gradualmente diminuendo spostandosi alle aree tecnico-scientifiche: dal 47,9% nel settore Agricultural and veterinary sciences al 27,1% dell’Engineering and Technology area.
Una volta finito il proprio percorso di studi, le studentesse non differiscono dagli studenti, come spiegato dalle autrici dopo aver osservato i rapporti di femminilità: “in tutti gli ambiti di studio il numero di laureate ogni 100 uomini laureati risulta superiore a quello delle iscritte ogni 100 uomini iscritti”.
Non solo: anche nei campi in cui la presenza femminile diminuisce (si pensi al 27,1% dell’Engineering and Technology Area), “il rapporto donne/uomini è pari a 37/100 per le iscritte e a 43/100 per le laureate. Ciò ad indicare un maggiore successo delle donne rispetto agli uomini nel completamento degli studi anche nelle cosiddette “scienze dure””.
Viene dunque da chiedersi: quando si comincia a parlare, allora, di gender gap? La risposta risiederebbe nell’istruzione superiore. Le autrici osservano che “la distribuzione per tipologia di diploma delle matricole distintamente per i due generi evidenzia che più della metà delle immatricolate (53%) ha un “Diploma no STEM” e poco meno dei ¾ degli immatricolati (72%) ha un “Diploma STEM””.
Posti di fronte alla scelta dello studio universitario, i giovani diplomati tenderebbero “più delle ragazze a confermare la scelta di un percorso formativo tecnico-scientifico nel passaggio dalla scuola all’università”. Questo si evince osservando “le matricole distintamente per genere e per ambito del corso di studio universitario scelto al momento dell’iscrizione […] tra le immatricolate ai corsi STEM il 62% ha conseguito un “Diploma STEM” mentre tra gli immatricolati la percentuale è pari all’84%”.
Conseguenza è che, nonostante si parta con un numero notevole di nuove immatricolate al nuovo anno accademico, “nell’ambito delle aree STEM si osserva un’inversione e una maggiore distanza tra le quote. Distintamente per genere, circa il 21% delle immatricolate sceglie corsi STEM a fronte di un 42% dei colleghi uomini”.
La disparità di genere è ancora adesso un argomento molto attuale. Alla fine dello scorso anno, caratterizzato dal difficile primo periodo della pandemia, “si sono registrati 101.000 occupati in meno e di questi ben 99.000 sono donne (98%)”.
In campo accademico, nonostante una partenza universitaria piuttosto simile tra donne e uomini, la “forbice” va ad aprirsi procedendo per posizioni più alte, di cosiddetto “grade A”: lo dimostra chiaramente il confronto tra il 2005 e il 2019.
Come spiegato dalle autrici, invece, scegliere un percorso STEM fornisce “quelle competenze tecnico-scientifiche maggiormente richieste dal mercato del lavoro e che in futuro quindi potranno favorire maggiori possibilità di carriera e di guadagno“. Una minor presenza di studentesse in ambito STEM conduce ad una forte disparità di genere in campo lavorativo/accademico, come mostrato dal seguente grafico:
La conclusione di questo studio, dunque, è un invito a “incentivare la parità di genere negli ambiti STEM”, perché “potrebbe avere un’influenza positiva anche sul divario salariale o “gender wage gap””. Un suggerimento potrebbe essere relativo all’utilizzo del Recovery Plan, “occasione per affrontare con risorse dedicate le disparità di genere, anche in relazione alle discipline STEM”, al fine di “promuovere una crescita inclusiva e sostenibile con migliori tassi di occupazione e favorire la ripresa economica”.
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