Salute psichica, Dott. Ferlito spiega come stiamo e come ricorderemo la pandemia

Da ormai numerosi mesi, gli italiani fanno i conti con paura del contagio ed isolamento. L'idea della fine della pandemia, poi, appare ancora lontana. Abbiamo chiesto al Dottor Davide Ferlito, Psicologo, Psicodiagnosta Clinico-Forense e Terapeuta EMDR, un parere sugli attuali disagi psichici delle persone, oltre che sul possibile ricordo che questi in futuro avranno di questo periodo.

Per quanto ciò possa apparire a molti incredibile, risale al 21 febbraio 2020 l’annuncio del primo caso di Covid-19 in Italia. Questo significa che, se solo volessero, gli italiani potrebbero dedicarsi al racconto, pieno di elementi imprevedibili e déjà-vu, di un anno di pandemia. A quel punto, bisognerebbe sottolineare quanto i protagonisti-narratori siano cambiati con lo scorrere dei mesi.

Abbiamo scoperto ben presto come il Coronavirus fosse in grado di piegare il corpo ma abbiamo dovuto vivere mesi di crisi e restrizioni per comprendere fino in fondo quanto questo fosse abile nel rivoluzionare stati d’animo e relazioni. Oggi, di fronte ad una crescita di disagi psichici da non ignorare, urge la necessità di conferire al tema della salute mentale ai tempi della pandemia la giusta rilevanza. Di ciò abbiamo trattato con il Dottor Davide Ferlito, Psicologo, Psicodiagnosta Clinico-Forense e Terapeuta EMDR.

Di cosa soffriamo?

Apparentemente, la pandemia ha appiattito differenze ed uniformato le vite di numerosissime persone. In realtà, è un avvenimento estremamente complesso che varia a seconda di chi lo vive. Di conseguenza, non è possibile pensare che i disagi psichici siano pochi ed identici per tutti.

“Lo stile di vita che stiamo perpetuando ormai da un anno è indubbiamente fonte di stress ed è risaputo come lo stress cronico abbia un significativo impatto sulla nostra salute tanto fisica quanto psichica – esordisce così il Dottor Davide Ferlito -. Tali effetti possono verificarsi sia in maniera diretta, favorendo l’emergere di condizioni di malessere o aggravando situazioni pregresse, che indiretta comportando la messa in atto di comportamenti potenzialmente dannosi per la nostra salute, come l’aumento del consumo di sigarette. Ci troviamo, quindi, di fronte ad una condizione di continua instabilità che può essere promotrice di stati ansiogeni-depressivi ma anche problematiche di natura ossessivo-compulsiva connesse ad esempio alla paura della contaminazione e ai conseguenti rituali di pulizia.

Coloro, poi, che hanno avuto un contatto diretto con il Covid, dagli operatori sanitari, ai pazienti sopravvissuti, possono sviluppare condizioni stressogene ancora più rilevanti, fino a veri e propri disturbi da stress post traumatico. Il rischio, infine, è di trovarsi di fronte ad una futura sequela di disturbi da lutto persistente e complicato, venendo meno alcuni importanti rituali di ‘addio’ che sono alla base del nostro processo di elaborazione del dolore”.

Come il Covid ha cambiato il rapporto con l’altro

La vita è poco o niente senza relazioni e contatti: è un principio semplice ma potente, che si apprende fin da piccoli. Eppure, è un insegnamento che è stato necessario accantonare e ribaltare di fronte alla circolazione di un virus pericoloso. Uomini e donne, bambini ed anziani hanno affrontato una sorta di processo di rieducazione ed hanno capito, tra il resto, che accrescere la distanza è momentaneamente un mezzo utile a salvaguardare la propria salute.

“Il Covid ha, in un qualche modo, cambiato anche le nostre relazioni, sviluppando una maggiore diffidenza rispetto agli altri e determinando un incremento dei conflitti coniugali e familiari. L’isolamento forzato in alcuni casi può, inoltre, comportare lo sviluppo di disturbi agorafobici connessi alla percezione del mondo esterno come qualcosa di pericoloso e ad alto rischio – continua lo psicologo – .  Va sottolineato, tuttavia, come, di contro, il bisogno di tornare ad una relazionalità più prossima e meno virtuale si faccia sempre più forte, diventando fonte di ulteriore malessere e irritabilità che segnalano una considerevole difficoltà nell’adattarsi ad una condizione che non lascia punti di ancoraggio stabili”.

Salute mentale degli italiani ieri ed oggi

I mesi di lockdown nazionale, gli stessi in cui sembravano dominare entusiasmo, coesione e fiducia nel futuro, appaiono ormai eccessivamente distanti. Resta da chiedersi come stiano oggi gli italiani.

Proprio ieri leggevo un articolo dell’Espresso che ha citato un’indagine condotta dall’Istituto Piepoli per il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi per valutare la condizione stressogena degli italiani dello scorso 8 marzo, evidenziando come solo il 16% dei soggetti coinvolti percepisse lievi livelli di stress.

Ecco, credo che la condizione attuale non sia meno significativa, anzi ci troviamo di fronte ad un momento in un cui tra aperture, chiusure e variegate sfumature di colori, abbiamo ancora meno punti di riferimento stabili e, di conseguenza, le nostre capacità di adattamento vengono ulteriormente messe alla prova – dichiara il Dottor Ferlito – .  Si tratta, inoltre, di una situazione che dura ormai da un anno e, per tale ragione, si allontana dai nostri pensieri il momento in cui torneremo alla ‘normalità’ e con esso la speranza di arrivare incolumi a tale obiettivo, con il rischio di sviluppare la paura cronica di non riuscire mai a venire a capo di questo tunnel.

Il perdurare dello stato di stress connesso alla condizione emergenziale può, infatti, enfatizzare e cronicizzare l’attuale stato di malessere, aumentando i livelli di ansia e depressione”.

La reazione dei giovani

L’impossibilità di sentire quotidianamente la campanella che decreta l’inizio dell’ennesima ricreazione, lo stop di un concorso o un improvviso licenziamento, ma anche la semplice difficoltà nel rivedere un amico hanno rivoluzionato abitudini, ambizioni ed obiettivi dei più giovani. Si contano, certo, meno positivi tra i meno adulti, eppure questi soggetti sembrano pagare un prezzo ugualmente alto.

“La pandemia non ha cancellato il nostro bisogno di socialità e l’impossibilità di una piena soddisfazione dello stesso incide su ognuno di noi e, a maggior ragione, sui più giovani per i quali l’interagire assume un importante ruolo evolutivo, rappresentando uno dei compiti base del proprio ciclo di vita – precisa l’esperto – .  Sebbene, infatti, l’era della comunicazione tecnologica ha favorito una maggiore prossimità, riducendo le distanze, non può, tuttavia, sostituirsi al vedersi, scoprirsi e sperimentarsi nell’altro e con l’altro.

Per tale ragione sempre più giovani sentono il bisogno di evadere dalle restrizioni, manifestando, in relazione alle stesse, stati di malessere che possono perdurare nel tempo con un incremento di condizioni di irritabilità, nervosismo e ansia.  Di contro, l’isolamento e la paura del contagio può, invece, comportare una chiusura relazionale che rischia di protrarsi anche alla fine dello stato di emergenza, inficiandone ulteriormente tali importanti compiti evolutivi”.

Disagi e malesseri: per quanto tempo ancora?

Anche se oggi, forse, la fine della pandemia risulta ancora un’utopia, un giorno questa smetterà di esser centrale in ogni conversazione, per testate e social. Solo allora, forse, il modello di vita si avvicinerà a quello precedente il 2020. Nel frattempo, però, il vissuto avrà irrimediabilmente cambiato le persone?

“Da più parti emerge l’idea che terminata la pandemia ci troveremo di fronte ad una vera e propria emergenza psicologica, strascichi che ci porteremo a lungo –dichiara l’esperto – . D’altronde, come abbiamo dovuto abituarci al cambiamento determinato dal Covid-19 dovremmo riabituarci al ritorno alla ‘normalità’. Nel nostro adattarci alle situazioni che la vita ci pone dinanzi, infatti, abbiamo bisogno di creare delle abitudini routinarie. Ora, la pandemia ha scardinato le nostre precedenti routine, comportando l’emergere di altre che sebbene siano state faticose da accettare possono, in alcuni casi, trasmettere sicurezza. Ecco, non è, quindi, così scontato che il ritorno alla ‘normalità” sia esente da ulteriori scossoni.

 L’intervento sul versante psicologico, però, è già iniziato – continua il Dottor Ferlito – e, in tale ottica, l’Asp di Catania ha provveduto a reclutare un gruppo di 90 psicologi, di cui faccio parte, suddivisi tra tutte le strutture che accolgono, a più livelli, i pazienti affetti da Covid e tutti i cittadini costretti ad isolamento fiduciario e/o stressato dal contesto pandemico generale , e i diversi distretti sanitari, garantendo, in tal modo, un pronto intervento non solo sul piano fisiologico ma anche psicologico.  Ciascun cittadino, in relazione all’emergenza che stiamo vivendo, può, infatti, ricevere sostegno psicologico, chiamando dalle 8.00 alle 20.00, tutti i giorni, festivi inclusi, al numero verde 800954414 e selezionando l’opzione 9”.

La pandemia: come e cosa ricorderemo

Quel che oggi viene vissuto, un giorno verrà ricordato: ma in che modo ciò avviene nel caso di un evento storico così inconsueto? Il Dottor Davide Ferlito ha, infine, fornito alcune spiegazioni in merito.

 “La nostra mente è in costante scambio con l’ambiente esterno, andando ad integrare ed elaborare le informazioni in entrata che vengono prima organizzate in cartelle e poi immagazzinate.  Quando, però, siamo di fronte ad un evento traumatico, il ricordo di quest’ultimo può andare oltre le capacità della cartella e finire per essere conservato in una rete di memoria diversa da quella abituale – spiega lo psicologo – . L’evento viene, quindi, isolato dagli altri in quanto generatore di emozioni troppo intense e difficili da elaborare.

Ognuno di noi, infatti, ha un sistema di elaborazione degli eventi traumatici, senza il quale saremmo costantemente soggetti alle conseguenze del trauma. Questo meccanismo, tuttavia, in relazione ad alcuni fattori, può incepparsi, esattamente come l’ingranaggio di un orologio, e in questo caso quel che accade è che le sensazioni, i pensieri e le emozioni connesse al ricordo vengono interiorizzate separatamente in frammenti congelati in un tempo e in uno spazio diverso da quello degli altri vissuti, dove il passato finisce per essere sin troppo presente.

Le memorie traumatiche, però, sono diverse da quelle ‘ordinarie’. In esse, ad esempio, è possibile che spicchino con particolare intensità emotiva alcuni specifici dettagli, mentre altri possono essere completamente dimenticati per poi, magari, riemergere anche ad anni di distanza a seguito di uno stimolo, apparentemente non correlato.

La pandemia che stiamo affrontando, ormai da tempo, può configurarsi a tutti gli effetti come un evento traumatico  – conclude il Dottor Davide Ferlito – che può colpire, in particolare ma non solo, gli operatori sanitari, costantemente esposti al pericolo del contagio e a situazioni emotivamente intense, ma anche pazienti sopravvissuti e relative famiglie”.

 

Marzia Gazzo

Marzia Gazzo nasce a Catania il 6 giugno 1998. Laureata in Lettere Moderne, collabora con la testata LiveUnict da maggio 2018. Da dicembre 2020 è coordinatrice della redazione. Ama leggere belle parole, ascoltare voci, raccontare storie.

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