Catania Project è un simbolo indipendente e libero nel suo utilizzo, che rilancia l'identità del territorio distinguendola dal resto della Sicilia. Ne ha parlato con noi il suo ideatore, il graphic designer Bob Liuzzo.
Una croce che disegna due triangoli. In basso il nero dell’Etna, in alto il rosso di un’eruzione. Dietro, l’azzurro del mare che si perde nel bianco dell’orizzonte. Stiamo parlando di Catania Project, il simbolo indipendente che racchiude in tre linee e altrettanti colori l’essenza della città e di tutta l’area metropolitana. Un’insieme di colori e geometrie che sintetizza, attraverso un simbolo capace di adattarsi a mille forme, l’identità dell’area catanese, distinguendola dal resto della Sicilia e rilanciandone l’immagine anche a livello turistico.
LiveUnict ne ha parlato con il suo ideatore, Bob Liuzzo, graphic designer catanese e coordinatore di IED Milano, in un dialogo a 360 gradi sul Catania Project, a cominciare dalle sue origini. Malgrado la prima idea risalga a 12 anni fa, ai tempi degli studi universitari, la realizzazione è molto più recente. “Il simbolo non è un brand – inizia Liuzzo –. Nasce da una “protesta”, quella del logo turistico di Catania regalato da Mirko Vallone a Enzo Bianco, che sembra fatto da un bambino. Un simbolo territoriale non deve sembrare fatto da un bambino, ma anche un bambino deve poterlo fare. È una cosa diversa”.
Tra le due opzioni, l’idea di Liuzzo può inscriversi di certo nella seconda. Il principio alla base, semplice ma allo stesso tempo efficace, si traduce in un progetto per una metropoli in continua evoluzione, ma pur sempre legata al territorio da cui è nata. “La parola Project nel nome viene proprio dal latino proiectus, gettare in avanti, vedere oltre ciò che non esiste ancora ed essere capace di immaginarlo”, aggiunge il graphic designer, che nel suo lavoro ha dovuto confrontarsi con i tanti simboli che già rappresentano la città etnea. A questa voce, infatti, Catania può elencare il Liotru e Sant’Agata, innanzitutto. Ma anche l’amato Vincenzo Bellini o la cucina locale, dagli arancini alla pasta alla Norma.
“Questo simbolo nasce come modo per unire – precisa l’autore riprendendo il significato originale della parola, la cui etimologia è proprio “mettere insieme” –. Il simbolo non nasce per scardinare quelli precedenti, ma per coesistere con loro, rappresentandone la fase precedente. L’Etna e il mare hanno creato tutto, il concetto stesso di Catania non sarebbe mai esistito senza questi elementi che ne hanno creato prima la geografia e poi tutte le storie a esso legati”.
La stessa funzione assolvono le tradizionali strisce rosso e azzurre, che però, per dirla con le parole di Liuzzo, rappresentano una sintesi forse troppo estrema del territorio. “Le bandiere a strisce – specifica -, se diventano rosa e nere sei a Palermo, se diventano bianche e nere a Siena o Torino, rosso e nere a Milano. Questo sistema, invece, è unico. Quell’insieme di linee che formano un vertice al centro con i triangoli crea questa illusione dell’Etna in eruzione col mare e non solo rappresenta i colori identificativi del comune e della città metropolitana, ma anche il landmark per eccellenza del nostro territorio”.
Il simbolo di Catania disegnato dal graphic designer catanese, infatti, non sintetizza solo l’immagine della città, ma scavalca i simboli specifici di Catania per creare un’immagine onnicomprensiva: quella terra dominata dall’Etna e circondata dal mare in cui tutta la zona metropolitana etnea può trovare un pezzo di sé. “Molti simboli identificano una comunità e la dividono da un’altra. Ad oggi, non esisteva una simbologia che dice ‘quello di Pedara e quello di Catania fanno parte della stessa provenienza territoriale’. Abbiamo qualcosa che ci mancava”.
“Sicilia, your happy island“, è lo spot presentato dalla Regione Siciliana per promuovere il turismo nell’isola per la stagione estiva. I colori della scritta “Sicilia” riprendono quelli dell’immaginario comune: il giallo e l’arancione delle assolate giornate siciliane, l’azzurro del mare e il verde delle campagne. Chi venisse a Catania con queste aspettative, però, si sbaglierebbe. E non poco.
“La città nera”, come è anche nota Catania, soffre per l’autore del nuovo simbolo etneo una rappresentazione non veritiera. “La Sicilia è palermocentrica – spiega Liuzzo -. Palermo e Catania, però, sono due realtà abissalmente opposte e diverse. Il tipico stereotipo della comunicazione della Sicilia non si adatta per Catania, che è una metropoli. Il turista che arriva pensa che esce con le tappine e va a mare, invece sappiamo bene che Catania è una città dove devi prendere due autobus, sperando che passino, per andarci. È una città viva, industriale. È una grande metropoli”.
Rispetto allo spot regionale, i colori del Catania Project si differenziano radicalmente, col nero della pietra lavica etnea che vede riconosciuta forse per la sua prima volta la sua importanza a livello simbolico per l’identità del territorio. “C’è chi mi ha detto che non ci vede la Sicilia perché ‘manca il giallo’ – aggiunge -. Quando arrivi nel territorio etneo, trovi tutt’altro. Una dominanza del nero e il contrasto con l’azzurro del mare. Non c’è la tipica macchia mediterranea, proprio perché la particolarità del nostro territorio è crescere sotto e sopra un vulcano. Questo il turista non lo dimentica”.
Per distinguere questo nuovo modo di raccontare il territorio, Liuzzo fa un paragone con Roma. La capitale, stretta nelle maglie della sua nomina di “città eterna”, vede ancora oggi i gladiatori in posa davanti al Colosseo che scattano le foto con i turisti. Un modo di promuovere la città, a suo parere, che si ancora nella tradizione del passato, laddove il segreto sarebbe pescarvi dentro e trovarvi qualcosa di nuovo. “Il turista si porta dietro ciò che il residente si porta dentro“, conclude.
Finora, ci siamo riferiti a Bob Liuzzo come di “autore”. Il concetto, però, è estraneo al Catania Project, e lo stesso graphic designer preferisce identificarsi come garante del progetto, libero di essere utilizzato da tutti meno che per scopi politici o illeciti. “Finché ci sarà gente che mi chiede se può usarlo, il simbolo non starà funzionando. I simboli non hanno le gambe e le braccia per fare quello che vogliono“, dichiara Liuzzo.
Il progetto, infatti, è delle e per le persone che lo usano. “Ognuno ne può fare quello che vuole – prosegue –. I simboli che inseguiamo fanno ciò che siamo. Inseguire questo simbolo finché ne sarò solo io l’autore, sarà un fallimento. Quando ne perderò del tutto l’autorialità, come spero, quando sarà condiviso, i bambini lo disegneranno sui diari, quello con le bancarelle lo stamperà sulle magliette, lì starà funzionando come ideologia e simbologia territoriale”.
Negli ultimi tempi, in realtà, il Catania Project sta già iniziando a fare qualche passo in autonomia. “Per esempio – spiega Liuzzo -, un locale a Catania ha fatto dei taglieri in pietra lavica con il simbolo; i murales li ho fatti io; un ragazzo se l’è tatuato sulla gamba; è diventato progetto di maglia calcistica; una squadra di basket vuole utilizzare questo simbolo anziché le strisce perché si sente più rappresentata così”. E così via.
Questa grande flessibilità è, infatti, tra i fattori che distinguono il progetto dal logo, sempre legato a una forma specifica, come illustra lo stesso ideatore del simbolo: “il logo è sempre uguale, il simbolo non dipende dalla sua forma. Lo puoi fare piatto dentro un cerchio, triangolo, quadrato e sarà riconoscibile. Ci puoi customizzare dei prodotti (maglietta, cappellino, zaino, etc); puoi creare un motivo decorativo per delle maioliche. Di tutto. Quando un simbolo non dipende da una forma è veramente utilizzabile da tutti” .
Cosa resta, allora? Se il simbolo muta la sua forma, rimane ciò che è visibile agli occhi. “Quando decodifichi quelle linee – conclude il designer di Catania Project – non vedi più un simbolo, ma una visione da cartolina: l’intera Catania vista nella sua essenza: mare, Etna e orizzonte”.
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