A chi non è mai capitato di andare al cinema e dire “questo film aveva un finale amaro”, “che storia dolce”, “per me il film era troppo crudo”? Tutti noi tendiamo ad associare il cinema a delle metafore culinarie. È proprio di questo che si occupa la disciplina nota come Cinegustologia.
La Cinegustologia è, come descrive il suo ideatore Marco Lombardi, giornalista critico cinematografico ed enogastronomico, un libero metodo associativo che vuole scardinare i canoni del linguaggio della critica tradizionale che si ergono sulla loro presunta oggettività. Spesso, infatti, si tende a parlare di un film o di un piatto con termini tecnici, certamente accurati ma il più delle volte non immediati.
La Cinegustologia, in quanto metodo appunto libero, invita a descrivere una pellicola attraverso sensi non suoi. Generalmente, “si gusta” un film così come si gusta un piatto, si fruisce però di entrambi con sensi diversi: di solito il cinema coinvolge la vista e l’udito, mentre la cucina fa leva principalmente su gusto, olfatto e tatto, senza dimenticare anche l’udito (basti pensare al rumore della croccantezza delle patatine).
Il libero metodo associativo della Cinegustologia nasce in risposta all’inadeguatezza dei codici classici della critica, i quali non riescono appieno a trasmettere l’emozione provata dietro alla visione di un film o alla degustazione di un piatto o di un buon vino. Inoltre, una descrizione “oggettiva” di un prodotto artistico è inadatta in quanto ciascuno di noi è dotato di diversi hardware biologici – ovvero diversi modi di percepire il mondo con i nostri sensi – e ancor più diversi software esperienziali, momenti di vita che segnano le nostre esperienze ed il nostro sentire. La Cinegustologia permette dunque di liberare la creatività e dare spazio alla soggettività associando a un film un piatto, in maniera tale da provare a gustare, stavolta davvero, la pellicola e fruirne con quanti più sensi possibile.
Provare a “giocare” facendo le proprie associazioni cinegustologiche può far comprendere l’appeal di questa disciplina. Si può parlare di un film, un regista, un genere cinematografico e associarlo alla tavola. Così, un regista come Stanley Kubrick (regista di Arancia Meccanica, Shining, Eyes Wide Shut e tanti altri film ancora) è un complesso misto di contrasti in equilibrio, fragrante e pungente, sapido, muffato e piccante, croccante, duro e molle allo stesso tempo. Il genere cinematografico dei film d’animazione, invece, è un buon Brachetto, vitigno spumeggiante, leggero, che ricorda il sapore della fragola. Infine, un film come Pulp Fiction è un cheeseburger (per altro presente nella pellicola stessa), industriale, gommoso, accompagnato da una zuccherosissima sprite. Tutto molto “Pulp”.
Insomma, non c’è che l’imbarazzo della scelta, questo metodo può essere esteso praticamente ad ogni cosa. Si può parlare in chiave gustologica anche di un quadro, una serie tv, un vip, persino di una notizia d’attualità. Ancora una volta, largo alla soggettività e all’espressione del proprio sentire.
La Cinegustologia sta entrando a pieno titolo nel panorama accademico italiano diventando materia oggetto di studio. All’università La Sapienza di Roma dal 2014 la disciplina è entrata nelle aule facendo nascere laboratori come quello relativo alla radiogustologia, ovvero l’ideazione di format radiofonici nei quali si racconta qualsiasi cosa, dal cinema alla politica e altro ancora, in chiave gustologica.
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