“Dare voce a chi abitualmente non ce l’ha”. È questo l’obiettivo del Concorso letterario nazionale Lingua Madre, ideato nel 2005 dalla giornalista e saggista piemontese Daniela Finocchi e rivolto a tutte le donne straniere residenti in Italia. Un’iniziativa importante che, sin dalla prima edizione, ha avuto il merito di intuire la portata delle interazioni che stanno ridisegnando la mappa culturale del nuovo millennio e di testimoniare la ricchezza, la tensione conoscitiva ed espressiva delle donne provenienti da altri Paesi. Al concorso però, proprio in virtù di questo scopo, possono partecipare anche tutte le donne italiane che vogliono raccontare storie di donne straniere.
Il concorso si svolge ogni anno e, per il 2019, la data di scadenza è fissata per il 15 dicembre. La premiazione avverrà nella giornata di chiusura del Salone del Libro di Torino: le opere selezionate saranno pubblicate in un’antologia e le immagini esposte in una mostra a cura di Filippo Maggia della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. L’ideatrice, che abbiamo intervistato, ci spiega che, per partecipare, non ci sono limiti o barriere in termini di età o di condizione. Qualora non si padroneggi bene l’italiano scritto, inoltre, è possibile chiedere l’aiuto di un’altra donna italiana: il bando ammette e incoraggia la collaborazione tra donne, nello spirito della valorizzazione dell’intreccio culturale. Le partecipanti possono inviare racconti e/o fotografie.
Da dove nasce l’idea del Concorso Lingua Madre?
Mi sono da sempre interessata ai temi inerenti il pensiero femminile – spiega Daniela Finocchi a LiveUnict –. Partecipare alla politica delle donne mi ha autorizzato al desiderio. Come scrive Fiorella Cagnoni, se per gli uomini la politica è convinzione etica o perseguimento del potere, per le donne deve essere ‘creazione di contesti, dare le cose buone che si possono assaporare, perché non ci sia spreco di sofferenze, ma invece più agio e più piacere’. Nel 2005 non esisteva nulla in ambito letterario dedicato ai migranti, tanto meno se donne. Mi sembrava importante dare voce a chi è discriminata due volte, in quanto migrante e in quanto donna, a chi non è concesso intervenire in prima persona, a chi subisce sempre un filtro, una ‘traduzione’, un ‘esperto’ che spiega il suo pensiero arrogandosene il diritto. L’Italia è al terzo posto in Europa per presenze straniere e uno dei tratti principali della ‘seconda metamorfosi’ italiana è costituito dalla presenza numerosa e attiva di nuovi cittadini che, pur nella diversità di provenienze, culture e linguaggi, hanno assunto ruoli, comportamenti e percorsi di vita non dissimili da quelli degli italiani.
Il termine ‘straniero’ diventa sempre meno idoneo a qualificare una presenza così radicata e crescente. Ma soprattutto, sempre più forte è la presenza femminile che imprime al fenomeno una diversa evoluzione, che necessita quindi anche di una diversa lettura, lontana dall’analisi storica accademica classica, che metta in luce quelle ‘strategie di libertà’, di cui scrive Cristina Borderias, che conducono al cambiamento. Insieme ad esse la speranza e quella forza irrinunciabile del desiderio che spinge le donne verso ciò che sembra impossibile ottenere, come ci insegna Luisa Muraro, e che conduce a una nuova concezione della politica, della vita. Se l’emigrazione è solitudine, distacco, rottura, per tutte le donne straniere importante punto di incontro e di scambio rimangono le altre donne. Proprio in quest’ottica si pone il Concorso Lingua Madre, che esalta il valore della relazione, della condivisione, del confronto fra donne incoraggiando la collaborazione nel raccontare e scrivere le proprie storie”.
Cosa intende con “dare voce a chi è discriminata due volte”?
“Le donne da qualsiasi Paese provengano a qualsiasi cultura appartengano, a qualsiasi religione, hanno un modo assai simile di affrontare la vita e di viverne gli eventi e in questo si riconoscono – precisa la giornalista torinese –. Le difficoltà delle donne (siano straniere o italiane) sono condivise nel senso che sono loro ad avere maggiori difficoltà rispetto ai maschi. La maternità, per esempio, non è considerata un compito sociale, non ha riconoscimento sociale. Lo stesso dicasi per la cura, che è affidata esclusivamente alle donne, scaricando la società dal problema dell’assistenza (degli anziani, dei bambini, dei malati, degli handicappati…). La presenza della donna nella storia è segnata dalla sua omologazione al maschile, dal suo essere definita e pensata da una cultura che lei non ha contribuito a creare. In questo senso anche la ‘lingua’ che utilizzano non è la loro ma è quella dei padri, quella della ‘cultura patriarcale’. Le donne sono abituate ad esprimersi in una lingua straniera, nel senso che gli è ‘estranea’, che non gli appartiene, in quanto storicamente emarginate dalla cultura con la ‘c’ maiuscola.
Ciò che la donna sa di se stessa le proviene dall’immagine che il maschio ha creato di lei. Quale sia la sua autentica identità è la sfida che il femminismo ha posto alla cultura occidentale. Come scrive Aida Ribero, ‘Con l’emancipazione viene mantenuto inalterato il parametro maschile, con cui viene ad essere misurato il grado di evoluzione della donna. Con la liberazione la donna si sottrae all’identità stabilita dalla cultura patriarcale, per rivendicare una soggettività in positivo. Mentre con la politica dell’emancipazione la donna è oggettivamente inscritta nel disvalore, con il femminismo è inscritta nel valore’. Questa è la strada da percorrere. La narrazione diviene occasione per ribaltare le prospettive, per affermare il proprio diritto di parola, per dare testimonianza di sé. Le donne che vengono descritte nei racconti del Concorso sono forti, caparbie, ma anche fantasiose, dolci, amorose, soprattutto testimoniano la necessità dell’apertura verso l’altro/a”.
Quanto bisogno c’è di raccontare e di ascoltare queste storie?
“La condivisione di un momento letterario, dell’atto dello scrivere, porta alla piena scoperta e consapevolezza del proprio sé femminile. L’urgenza del racconto, il desiderio di comunicare operano la trasformazione, che è sicuramente uno degli aspetti più rilevanti. È quello che hanno sottolineato le insegnanti della vincitrice di quest’anno Eniola Odutuga, quando hanno detto che la cosa più grande è importante è stata proprio che l’autrice fosse riuscita a condividere la sua storia. ‘La scrittura mi ha aiutata a superare il mio dolore’, ha detto Eniola. La narrazione, strettamente connessa al processo di ‘ricostruzione’ del sé femminile, diviene così uno strumento indispensabile per pensarsi e rappresentarsi al di fuori degli stereotipi. Ma anche uno strumento per riconoscere e ricostruire una propria genealogia, per riappacificarsi con le proprie origini e la propria identità culturale, per riconoscere il debito simbolico verso la madre, per mantenere sempre viva la memoria personale.
Dietro a tanti racconti diversi – conclude Daniela Finocchi – c’è una sola storia, più grande ed importante. Quella delle donne. Essere in relazione vuol dire conoscersi di più. Il che non significa poi necessariamente “amarsi”, ma semplicemente conoscersi per non avere paura. La sfida del nostro presente è condividere il mondo. Questo perché nessuno può dirsi padrone, neppure della propria patria; perché tutte e tutti abbiamo bisogno d’essere riconosciute/i per esistere; perché siamo bisognose e bisognosi di amore; perché il mondo è globale, interconnesso e interdipendente. La scrittura rappresenta non solo un momento creativo, quindi, ma anche il tentativo di comprendere meglio noi stesse/i e le/gli altre/i. Soprattutto nel confronto con le/gli straniere/i, offrire spazi d’espressione e opportunità d’ascolto diventa sempre più necessario per andare al di là delle necessità contingenti, dell’emergenza, e per iniziare un cammino di cultura condivisa”.