Paola Tricomi, persona con disabilità dalla nascita, ha raccontato il suo percorso formativo e le difficoltà incontrate lungo il cammino a LiveUnict: dalle esperienze all'Università di Catania e alla Scuola Superiore fino al sogno della ricerca e al rapporto con la scrittura.
“Una novità così non si era mai vista in uno studente Unict con disabilità motoria grave e implicava un bisogno di servizi ben maggiore rispetto a ciò che l’Università poteva offrire”, ricorda Paola Tricomi, 28 anni, andando a ritroso nel tempo e raccontando le sue difficoltà come studentessa di Lettere classiche e allo stesso tempo della Scuola Superiore di Catania.
Siamo nel 2010 e Paola, persona con disabilità dalla nascita, allora aveva vent’anni. Essere studenti della Scuola Superiore è allo stesso tempo un onore e un onere. Significa far parte di un polo d’eccellenza che accoglie pochissimi iscritti l’anno, a fronte di una dura selezione, e che implica l’obbligo di dare tutte le materie presenti nel proprio piano di studi entro l’anno, mantenendo la media del 28, nonché di seguire i corsi interni alla SSC.
È qui che le esigenze di Paola iniziano a scontrarsi con le lacune dell’Ateneo. Per poter seguire lezioni e corsi interni, servivano un alto numero di tratte del servizio di trasporto attrezzato e un’assistenza che andava oltre alle cinque ore giornaliere ordinarie. “A ciò si aggiunga che studiavo greco antico molto spesso – afferma – e quindi necessitavo tutor che avessero quanto meno la conoscenza dei caratteri per poter prendere appunti”, circostanza rara, almeno all’inizio.
Per lunghi tratti sembra come se il diritto allo studio le venisse negato. Aule spesso inaccessibili, tratte per il trasporto insufficienti e tutor ignare del greco. Per non parlare del nemico più grande di tutti: la burocrazia. “Un gran impedimento era la lentezza nei processi burocratici – dice a proposito –, l’inizio dei servizi non in coincidenza con l’inizio delle attività accademiche e il generale pensiero sottostante ad ogni processo che in fondo se non potessi svolgere alcune attività non sarebbe grave. Mentre per me era un grande dolore“.
Il bilancio del primo anno di università non potrebbe essere peggiore: “è stato molto duro con molti momenti di sconforto e tanto isolamento”. Poi la svolta, lenta ma costante, come l’acqua che col passare del tempo sgretola la pietra. “Ho iniziato a rimboccarmi le maniche e a combattere duramente senza vergogna di far mostra delle mie necessità – procede Paola -. Abbiamo avviato un percorso lentamente incisivo: selezionare tutor del settore; reperire il maggior numero di risorse possibili. Il contributo più grande lo devo alla Scuola Superiore di Catania che ha sostenuto le spese economiche di cui l’università non poteva farsi carico. Abbiamo messo in campo diversi strumenti tra cui l’uso del registratore vocale”.
I muri intorno a cui Paola deve muoversi per frequentare l’università vengono pian piano abbattuti e al loro posto nascono ponti, creati dagli amici. “Tra questi amici Barbara Minutoli ha svolto il ruolo principe”, ricorda citando la giovane studentessa della Scuola Superiore spentasi due anni fa per una neoplasia e collaboratrice di questa testata.
Al ricordo delle difficoltà del passato, Paola affianca anche nuove soluzioni per migliorare l’accessibilità dei corsi dell’Università di Catania, a cominciare dall’uso dell’informatica. “Creare la possibilità di collegamenti in video conferenza sarebbe il modo più semplice per rendere possibile la fruizione delle lezioni a persone impedite da gravi disabilità motorie. Andrebbe ovviamente regolamentato perché non avvenga un abuso del servizio – aggiunge in conclusione –, ma fattivamente basterebbe un addetto aule che avvii un collegamento Skype”.
Dopo aver concluso il suo percorso universitario con la laurea in Filologia Classica a Catania, Paola è stata ammessa alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove frequenta il terzo anno del dottorato in “Letteratura, arte e storia dell’Europa medievale e moderna”, occupandosi della metafora della tessitura in Dante. Quando è entrata in questo istituto antico, che esiste dai tempi di Napoleone, non c’era, né c’era mai stato, un referente alla disabilità. Oggi lo frequentano tre studenti disabili, e il merito è anche un po’ suo.
“Non mi interessa il prestigio di nessuna carriera di alto livello, vorrei solo assecondare il mio grande desiderio di poter studiare tutta la vita – dice a proposito dei suoi sogni –. La ricerca pura è un settore che mi interessa molto e spero di poter trovare la mia strada all’interno di uno dei numerosi poli di eccellenza europei dediti alla ricerca”.
Malgrado i risultati finora ottenuti, l’obiettivo che si pone Paola non è semplice: “Ho davvero molti impedimenti, dati dalla mia condizione e connessi alla società in cui vivo, ma cerco di non guardarli. Li affronto uno alla volta instancabilmente. Non posso permettere alle barriere di fermarmi perché a me è stata data solo questa vita e per me viverla fino in fondo è un dovere. Realizzarmi come donna, come studiosa e come persona corrisponde a vivere fino in fondo”.
Ma l’attività di ricerca non è tutto. La scrittura è legata alla vita di Paola come un ago a un filo e all’attivo l’ex studentessa Unict conta già tre libri di poesie, nonché diversi libri in prosa autopubblicati e un recente lavoro editoriale. “La scrittura è il mio modo di stare al mondo, di ragionare e di vivere – dice in conclusione –. Attraverso la parola tento di condurre l’altro dentro l’universo invisibile che sta dentro la mia persona e che ad uno sguardo superficiale non traspare. Allo stesso modo tento di penetrare io in universi apparentemente lontani o reclusi”.
“Vorrei rivolgermi alle persone che ricoprono le cariche istituzionali e non alle istituzioni – comincia la filologa, avviandosi alla conclusione – perché senza le persone le istituzioni sono solo ideali e edifici”.
Le ultime parole dell’ex studentessa Unict sono destinate quindi a chi ha il potere di cambiare le cose e non soltanto di comunicare e raccontare storie. A chi ricopre incarichi, a chi lavora negli uffici e nei palazzi del potere, Paola lancia un significativo messaggio: “Loro hanno il potere di cambiare la realtà. Spesso non conoscono gli strumenti, non sono in grado di scrutare nel dettaglio come ottenere il miglior risultato col minimo sforzo. Confrontatevi con chi vive condizioni diverse dalle vostre. L’umiltà è il miglior modo di essere uomini.
Le cariche che rappresentate non vi rendono superiori in maniera diretta – aggiunge – e la sicurezza che manifestate non copre le falle intorno a noi visibili”. Coprendo queste buche, bisogna tendere verso un obiettivo ben preciso: un mondo di pari opportunità, in cui tutti possono partire sulla stessa linea di partenza.
“Ma questo lo possiamo fare tutti, non solo le autorità – continua, allargando il discorso a ciascuno di noi –, iniziando a scrutare il mondo che ci circonda e ad indignarci per le piccole grandi ingiustizie: l’inaccessibilità dei luoghi, la mancanza di servizi, l’ineducazione e l’ignoranza. Educando tuo figlio ad apprezzare la diversità del suo compagnetto e non isolandolo. Guardando le persone dentro i corpi e non l’apparenza. Perché non è mai troppo lontano ciò che ci fa paura e imbattersi contro esso a volte può farci scovare la parte migliore di noi e un mondo non di cloni tutti uguali”.
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