Può scaturire da una vendetta nei confronti dell'ex partner e trasformarsi in una tragedia per chi ne è vittima: il revenge porn diventa reato anche in Italia. Ce ne parla il professore Salvatore Aleo.
Nell’era moderna, in cui tutto è interconnesso e non esistono limiti di spazio né di tempo, i contenuti condivisi in rete sono visibili e fruibili da tutti. Sono diversi i vantaggi che derivano da ciò, ma tante sono anche le problematiche. Cosa accadrebbe, infatti, se delle immagini condivise in una chat “privata” con un amico o con il fidanzato venissero poi ricondivise in rete senza l’autorizzazione dell’interessato? Sicuramente verrebbero lese l’immagine e la dignità della vittima.
Le conseguenze sarebbero ancora più preoccupanti se le immagini mostrassero la vittima in momenti intimi, in attività sessuali o in pose sessualmente esplicite. Si tratterebbe in questo caso di “Revenge porn”, ovvero vendetta sessuale, un comportamento che, dal 9 agosto 2019, costituisce reato anche in Italia. Il nuovo reato è stato introdotto all’interno del codice penale con l’art. 612 ter che disciplina proprio la “diffusione illecita di immagini o video sessualmente trasmissibili”.
Sono diversi i casi avvenuti proprio in Italia che hanno spinto il Parlamento ad introdurre il reato di revenge porn, già riconosciuto in altri Stati, come Germania, Israele, Regno Unito e 34 Stati degli Usa.
Viene considerato autore del revenge porn non solo chi realizza direttamente le foto o i video, ma anche chi li diffonde, li pubblica o li cede senza il consenso dell’interessato, solo per danneggiarlo. In questo modo, viene punito anche chi si “limita” a diffonderne il contenuto. La pena prevista dalla norma è la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5000 a 15000 euro. La legge prevede, inoltre, un inasprimento della pena se i fatti sono commessi dal coniuge o da chi è stato legato da una relazione affettiva, anche conclusa, con la vittima e se vengono utilizzati strumenti informatici.
Obiettivo della nuova fattispecie di reato è, infatti, limitare un fenomeno umiliante che condiziona inevitabilmente la vita delle vittime.
Spesso le immagini o i video sono diffusi proprio da chi è più vicino alla vittima, come il coniuge o un ex fidanzato che vuole vendicarsi dell’ex partner rendendo virali i contenuti. Molte volte, oltre alla condivisione illecita, la persona è costretta a subire delle minacce che possono anche sfociare nel reato di stalking. L’impatto psicologico che il reato di revenge porn genera nelle vittime le ha spesso spinte a non denunciare il fatto, a causa della vergogna provata. La speranza è che il nuovo reato faccia sentire più tutelate le persone offese, inducendole a presentare querela.
Sull’argomento abbiamo intervistato il professore Salvatore Aleo, docente di diritto penale presso il Dipartimento di scienze politiche dell’Università di Catania. Il professore Aleo ha espresso le sue perplessità sull’introduzione del nuovo reato e sull’aggravante della pena, invitandoci a riflettere sull’intero sistema penale italiano.
“Questi comportamenti – esordisce il professore Aleo – nascono prevalentemente dentro le dinamiche di coppia. Spesso hanno origine in comportamenti ingenui e irresponsabili, che sono commessi dai ragazzini e dalle ragazzine. Si tratta certamente di una condotta orrenda e disgustosa, meritevole di repressione penale. La perplessità che ho, però, è di carattere generale e sistematico: pensiamo di risolvere tutti i problemi della nostra società, anche quelli indotti dalle nuove tecnologie, con interventi di tipo penalistico. Questo è motivo, per me, di dissesto e di preoccupazione.”
“Lo strumento penale – continua il professore – è uno strumento cruento che deve essere infallibile. Ho dubbi e perplessità sul se la questione debba essere affrontata prevalentemente con uno strumento penalistico e sul tipo di risposta data. La pena con l’aggravante arriva fino ad 8 anni ed è una pena severa, considerato che l’ipotesi normale finisce per essere quella aggravante.”
“Tutti i problemi della civiltà, della comunicazione, dell’educazione non possono essere risolti con strumenti penalistici – conclude Aleo –. È preoccupante perché è il segno che non si riesce ad incidere sui fenomeni con percorsi educativi e culturali. Queste manovre sarebbero più importanti delle manovre penalistiche.”
Gli interventi da effettuare, quindi, sono anche di altro tipo: appositi percorsi educativi all’interno delle scuole servono a dare l’esempio e ad indirizzare i giovani ad un uso più consapevole di internet e dei social network.
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