Sempre di più i giovani lasciano la Sicilia. Una perdita che nessuno sembra in grado di arrestare.
In Sicilia ogni anno scompare una città di ragazzi, giovani lavoratori e studenti, che fuggono dalla propria terra, lasciandosi alle spalle i palazzi e le strade in cui sono cresciuti. Nella provincia di Palermo sono stati circa 10mila i giovani, tra i 20 e 40 anni, a prendere il volo per l’estero o il nord del Paese, ma a detenere il record di “fughe” è la provincia di Agrigento: 149 mila le partenze contro le appena 110 mila delle due principali città della Sicilia, Catania e Palermo.
La fuga preferita per chi cerca un lavoro rimane l’estero: Germania, Francia e soprattutto l’Inghilterra (per quest’ultima si attende l’effetto Brexit, che potrebbe rendere più difficile l’approdo degli europei nel Paese di sua maestà). Preferiscono rimanere in Italia coloro che invece continuano gli studi: circa 51 mila studenti si sono trasferiti negli atenei del nord: Pisa, Bologna e Torino le mete più gettonate dai giovani siciliani.
Una regione che sembra non aver nessun futuro: la disoccupazione è al 22% – contro il 9,7% della media nazionale -, un giovane su due non lavora, e molti di essi fuggono senza più tornare. A nulla sembrano servire le voci di giovani che non possono lavorare e avere un futuro nella propria terra, vicino ai loro genitori e ai loro amici.
Per tutti questi motivi, Rosaria Di Bartolo, madre di figli emigrati, l’anno scorso ha scritto una lettera – che riprendiamo, dato il tema sempre attuale – al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: un appello, una richiesta d’aiuto, per fermare l’emigrazione dei ragazzi siciliani.
Ecco il testo integrale della lettera inviata al Capo dello Stato:
“Caro Signor Presidente,
se ha due minuti le racconto la storia di un’Isola che sta perdendo il suo futuro, così… un ragazzo dopo l’altro. I nostri ragazzi sono nati intorno agli anni Novanta, mentre Falcone e Borsellino in questa città, ci lavoravano e ci morivano. I loro genitori (noi), negli anni Settanta volevano cambiare il mondo e ci sono anche riusciti un po’, credendo ancora in un mondo sempre migliore e sempre più grande.
Hanno messo su belle famiglie, appassionate, bambini cresciuti come miracoli, scelti, amati, pochi conflitti. I ragazzi hanno frequentato i nostri buoni licei pubblici e hanno avuto ottimi professori, di quelli che si dice “hanno la vocazione”, di quelli che mantengono un rapporto per sempre, che li seguono, li formano e che qui ci sono ancora.
E hanno viaggiato, i nostri ragazzi; abbiamo parlato loro di un mondo grande, senza confini, dove muoversi in libertà; gli abbiamo raccontato la bellezza di potere andare e di tornare tessendo così relazioni sempre nuove; abbiamo parlato loro dell’ “emigrazione” solo nel ricordo di parenti lontani, costretti ad andare per sopravvivere e non li abbiamo preparati a nulla di simile.
Abbiamo fatto studiare loro le lingue fin da bambini quando era uno sforzo di cui non potevano capire il senso e loro lo hanno fatto perché sono sempre stati bravi, fin da bambini, i nostri ragazzi, belli, spiritosi, sportivi, vivaci. Poi sono andati all’Università, in Italia o all’Estero e poi ancora almeno un anno di Erasmus e poi master, stage… scelgono il loro futuro, e non si risparmiano.
Arriva il giorno atteso: la laurea, neanche a dirlo 110 e lode o giù di lì, sono proprio bravi. Si sentono Europei i nostri ragazzi, anche se il loro mare è il più bello di tutti… e vanno, vanno via tutti, i migliori (e chi resta?). A volte quando sono fuori a studiare li vediamo un po’ tristi su Skype, per la nostalgia e il senso di solitudine. Ma sono bravi e seri, più bravi di come eravamo noi, più preparati, più attrezzati.
Anche i loro genitori (noi) sono bravi e seri e li sostengono e pagano, in Italia e all’estero, tutta la loro formazione, che i più promettenti spenderanno solo all’estero, andando ad arricchire altri territori. Che peccato!
Le madri dei “nostri ragazzi” (io) si incontrano e parlano di loro, hanno di che vantarsi, sono orgogliose e tristi; le grandi case vuote; vorrebbero andare a trovarli ma sono ancora incastrate in un lavoro (per fortuna bellissimo!) che è letteralmente a tempo indeterminato, nel senso che non si sa quando se ne verrà fuori.
Io lavoro nella Palermo dei Quartieri, nelle periferie, che è poi la più grande Palermo. Lì Signor Presidente ci sono tanti ragazzi senza speranza perché è inutile girarci intorno, senza lavoro non c’è speranza e non c’è futuro; così alcuni trovano occupazione nella malavita più o meno organizzata facendo all’inizio piccole cose ma incominciando a sviluppare un grande senso di appartenenza che li legherà forse per sempre a questa terra; altri inseguendo il desiderio di un calore familiare mai avuto, cercano di farsela loro una bella famiglia, subito però, tanto “che aspettiamo a fare?” e sono così mamme e papà a 15,16,17 anni, del resto le loro nonne sono cinquantine.
Altri, quelli più “sperti” vanno via anche loro, vanno a Londra a lavorare da Mac Donald o in Germania in un pub o in un’impresa di pulizia ma ”mi mettono in regola e mi danno pure l’alloggio” e almeno sfuggono alla richiesta di manodopera delle mafie. Sono simpatici, intelligenti e pieni di buona volontà.
E chi resta? Noi restiamo, non certo giovani, su quest’isola che i nostri ospiti turisti amano, in questa città bellissima, Capitale della Cultura, Capitale dei Giovani ma che si sta perdendo il futuro così … un ragazzo dopo l’altro. Io lo so che tutte queste cose Lei le sa già, che sono temi presenti nella Sua mente e nel Suo cuore ma mi piacerebbe che tutte le madri, i padri, le famiglie, le aziende, i professori, che tutti i cittadini lo pretendessero questo futuro in un coro impossibile da non udire.
Ma adesso è Natale. Tornano tutti, è un piacere vederli… cammini per strada e li riconosci, si fermano di continuo a salutare e raccontare. Per un po’ tornano ad abitare le loro stanze spaziose, si spostano con lo scooter e usano l’automobile anche se “fuori i mezzi pubblici funzionano che è una bellezza!”, e mangiano cibi buonissimi… “che buono così, solo la nonna lo sa cucinare!” Ci sentiremo anche noi un paese normale, tutte le generazioni presenti!
Altro che luminarie Signor Presidente, saranno i loro sorrisi la luce di questa città e le loro risate, la musica.
Per una settimana.
Presidente, non se li lasci scappare i Suoi ragazzi e per Natale regaliamogli quello che avevamo promesso: la libertà di girare per il mondo liberi però di andare, di tornare, liberi anche di restare.
Buon Natale Signor Presidente“.
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