Si tratta del "lavoro agile": una formula innovativa che non prevede limiti spaziali e temporali per lo svolgimento delle ore di lavoro e che potrebbe rivelarsi il futuro del mondo lavorativo.
Negli ultimi anni si è spesso sentito parlare di “smart working” come una delle ultime frontiere del lavoro: consiste nella possibilità di lavorare senza limiti di spazio e di tempo, sfruttando le mille funzionalità delle moderne tecnologie. Non è una novità dato che il fenomeno risale ai primi anni 2000, e in Italia è legge dal maggio dell’anno scorso, ma finora non molte aziende lo hanno messo in pratica. Ad oggi gli smart workers in Italia sono 305mila, ma secondo alcuni dati potrebbero arrivare fino a 5 milioni, il 22% del totale degli occupati.
L’ultima novità di questa formula riguarda la riduzione della settimana lavorativa a 4 giorni, la 4-day work week. L’idea di fondo è quella di ridurre lo stress, incrementare la produttività e attrarre i lavoratori che danno molto peso al bilanciamento vita-lavoro rispetto al lavoro a tempo pieno, atteggiamento che sembrerebbe essere tipico dei millennials, ma un dato importante di questa nuova formula è che non riguarda solo le nuove generazioni. Secondo diverse ricerche non sarebbero solo i millenials ad attuare questa tipologia di lavoro: anche i “baby boomers”, cioè i nati a metà degli anni ’60, lavorerebbero in remoto, battendo in percentuale i più giovani.
La 4-day work week è gia stata testata per due mesi in un’azienda neozelandese di 240 dipendenti i quali, alla fine dell’esperimento, sono stati sottoposti ad un sondaggio di valutazione dell’esperienza. I risultati sono stati positivi ed è stata avanzata la richiesta di rendere effettiva questa nuova formula lavorativa. I dipendenti hanno infatti riscontrato dei benefici a livello professionale e personale: da una visione migliore della situazione lavorativa alla risoluzione di problemi che da tempo riguardavano la compagnia. A livello personale i dipendenti hanno riscontrato un miglioramento nei rapporti sociali e soprattutto familiari e molti hanno anche avuto modo di ritagliarsi dei momenti di riflessione o da dedicare ad attività di volontariato. Non occupare l’intera settimana per il lavoro ha quindi permesso di dedicare maggior tempo ai figli o ai genitori anziani, ma anche di ragionare con più lucidità su questioni lavorative. I dati che riguardano quest’esperimento hanno dimostrato che non c’è stato nessun calo a livello produttivo e che lo stress dei lavoratori è sceso di quasi il 10%.
Lo smart working e la sua flessibilità riscuotono quindi grande successo, e sembrerebbe che molti lavoratori preferiscano fare richiesta di assunzione in aziende che li applicano proprio perché verrebbe loro garantita la possibilità di gestire la propria giornata in modo flessibile e di avere maggior confronto, collaborazione e dinamismo.
Una questione importante è quella relativa alle retribuzioni: è previsto che lo smart worker non guadagni meno di un lavoratore che si reca in ufficio. Sebbene ci siano dei benefici relativi alla vita personale e alla maggiore flessibilità, chi lavora con lo smart working non fa meno di chi va in ufficio e inoltre permette all’azienda di risparmiare nei costi relativi alla sede e agli uffici. In breve, sembrerebbe che lo smart working convenga alle aziende se si pensa che l’incremento di produttività stimato è di circa il 15% per lavoratore. Ma i vantaggi riguardano anche l’ambiente: lo smart working favorirebbe meno spostamenti per andare a lavoro e dunque meno emissioni di CO2, circa 135 kg in meno all’anno.
Questa formula di lavoro sembra quindi avere molti vantaggi per il personale, le aziende e persino per l’ambiente, che punta alla collaborazione tra dipendenti e compagnie. Senza contare la flessibilità e l’assenza di limiti dello spazio “aperto” che incentiva la creatività e può anche essere una soluzione per coloro i quali non possono spostarsi per lavoro. Il lavoro del futuro avrebbe quindi un unico aggettivo che lo qualifichi: smart.
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