"Con il '68 è tutto cambiato". A cinquant'anni di distanza dal fenomeno socio-culturale che ha mobilitato un'intera generazione, LiveUnict ha intervistato la prof.ssa Simona Laudani, sessantottina e femminista, in un racconto che vede protagoniste le donne siciliane che hanno partecipato attivamente ai moti del '68.
Sono passati cinquant’anni dal 1968, un’annata che ha rivoluzionato l’immaginario comune e che ha significato il protagonismo di massa di un’intera generazione. Figlie del ’68 sono le manifestazioni contro la guerra in Vietnam, le lotte operaie, i moti studenteschi, la sessualità libera e il femminismo. Più che un semplice anno, possiamo consideralo un vero e proprio fenomeno socio-culturale che ha segnato e dato maggior voce anche alle generazioni future. Basti pensare che alcune delle libertà di cui godiamo oggi sono tutte merito dei sessantottini e delle loro lotte.
Tutto iniziò nel 1964, quando gli studenti dell’università di Berkeley, in California, si schierarono a favore delle battaglie per i diritti civili e contro la guerra del Vietnam, creando un’ondata di manifestazioni studentesche che, nel giro di qualche anno, arrivarono anche in Italia e soprattutto a Catania.
“Ho iniziato l’università tra il 1968/1969, quindi nel pieno dell’esplosione studentesca – ha raccontato ai microfoni di LiveUnict la professoressa Simona Laudani, docente di Storia moderna presso il dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania – Ho fatto parte del movimento studentesco partecipando alle occupazioni e a tutti i moti del ’68. Eravamo un bel gruppetto composto sia da uomini che da donne”.
Il ’68 è movimento assolutamente totalizzante. L’obiettivo era il cambiamento di prospettiva. Al di là dei risultati e dei fallimenti, con il ’68 c’è stata una cesura. Nulla è più stato come prima. Io ricordo com’erano la vita, le prospettive e il futuro prima del 1968 e come lo erano dopo. Era cambiato tutto. Era cambiato in meglio, ad iniziare dalla rottura con il rapporto del potere, tra cui quello della famiglia, della chiesa tradizionale, dell’autorità accademica e del rifiuto dei metodi passivi di apprendimento. C’era l’idea di far parte di qualcosa di grande. Nonostante non ci toccasse, noi qui a Catania facevamo le manifestazioni per il Vietnam, la Cambogia, il Cile. Manifestavamo anche per gli studenti che a Valle Giulia prendevano legnate. Ci sentiamo tutti dentro questo processo e dicevamo “noi qui stiamo facendo la rivoluzione”. E abbiamo fatto la rivoluzione. Secondo me quella del ’68 è stata soprattutto una rivoluzione culturale. Anche se molte cose non sono cambiate, ricordiamoci che molte conquiste sono figlie del ’68 come l’autunno caldo, la battaglia per il divorzio, la legge sull’aborto, la legislazione della famiglia e la parità tra uomo e donna.
Mio padre è morto nel ’66, quindi non l’ha vissuta. Mia madre, invece, l’ha vissuta con la sua affettività. In realtà molte cose non gliele dicevo. Per quello che sapeva cercava di proteggermi. Mi esortava a non perdere tempo con le manifestazioni, ma piuttosto voleva che mi dedicassi allo studio dell’inglese in quanto mi sarebbe servito per il futuro. Invece tra me e mia sorella maggiore (Adriana Laudani, avvocato e docente di Teoria e tecniche della Comunicazione pubblica presso il Dipartimento di scienze politiche di Catania ndr.) c’è stato un abisso perché con il ’68 tutto è cambiato. Io ho affrontato i rapporti interpersonali in maniera diversa da lei, che già nel ’67 era sposata e in attesa di un figlio. Nonostante fossimo molto legate, lei faceva difficoltà a capirmi. Tra di noi c’era stato il ’68 di mezzo.
I moti del ’68 hanno contribuito anche alla nascita del movimento femminista, che esplose in Italia solo a partire dagli anni ’70. Anche a Catania donne provenienti da ogni parte della città scendevano in piazza per manifestare a favore della legge sul divorzio, l’aborto e l’uso della pillola anticoncezionale. Tuttavia, quello delle battaglie femministe siciliane è ancora oggi un capitolo poco conosciuto.
Sì. Io ho preso la tessera del partito comunista nel 1974 proprio per la battaglia per il divorzio.
La mia parabola, che è un po’ anche la parabola di questo mondo cattolico di base, è quella di Gioventù Studentesca (oggi nota come Comunione e Liberazione). Gioventù Studentesca era in condizioni molto critiche nei confronti della chiesa tradizionale. Noi abbiamo aperto un doposcuola per i bambini di San Cristoforo facendo anche un’inchiesta, casa per casa, situazioni per situazioni, sul quartiere. Nel ’70 Don Giussani (fondatore del movimento Comunione e Liberazione ndr.) cambia atteggiamento nei confronti della chiesa e della DC. Ciò porta tutto questo gruppo catanese, tra cui me compresa, ad uscire dal movimento, in quanto non eravamo d’accordo con questo “ritorno all’ovile” dei cattolici. Gli altri si dedicarono a formare il primo nucleo del Manifesto catanese.
L’unica che non andò con loro sono stata io perché non volevo più fare esperienze minoritarie. Volevo stare in partito di massa che avesse gli strumenti e la capacità di difendere i deboli. Mi iscrissi così al P.C., con tutto che io marxista non ero, ma questo rispecchiava più la mia ideologia. Così incomincia a fare la battaglia per il divorzio e a partecipare alle assemblee. Nel ’76 scoppiò il femminismo ed io mi dedicai alle battaglie prima per la legge sull’aborto e poi sul referendum. Ricordo che facevamo le assemblee con donne provenienti da ogni parte della metropoli di Catania, da Bronte a Maletto. La cosa straordinaria è che tutte queste donne erano molto attive riguardo tali tematiche. Ed in entrambe le situazioni, tanto per il divorzio quanto per l’aborto, la Sicilia votò a favore.
Questo è uno stereotipo e noi l’abbiamo visto. Perché le donne, che sembravano le portatrici di questo pensiero, avevano invece le idee abbastanza chiare sulla questione. La Sicilia è una regione piena di contraddizioni, è vero, ricordiamo che ancora oggi esistono le “fuitine”, ma io ho che ho lavorato con le donne del sottoproletariato, con braccianti ed ho avuto modo di confrontarmi con donne provenienti da ogni parte dell’isola, le dico che in Sicilia c’è una laicità interiore molto più forte di quella che si possa pensare. Addirittura tutti dicevano che le leggi sul divorzio e sull’aborto non potessero passare per colpa della Sicilia, e invece proprio qui abbiamo totalizzato, se non ricordo male, tra il 60 e il 70% di consensi. È stata una cosa eclatante.
Forse ha lasciato delle madri un po’ strane e non equilibrate e delle nonne diverse. Molte di noi l’hanno pagata sulla propria pelle quello che è successo, nel senso che alle riunioni ci trascinavamo i nostri figli. Io un po’ meno rispetto alle altre donne, sia perché per carattere ho sempre fatto la mamma e sia perché sono rimasta sola molto presto, avevo due figli da crescere e non volevo demandare a nessuno il peso di quel clima.
L’hanno vissuta benissimo, si divertivano. Anche perché io non li trascuravo. Faticavo tra i vari impegni, ma facevo soprattutto la mamma. Davo delle regole, seppur non tantissime, che dovevano essere rispettate.
Assolutamente sì. Addirittura uno dei primi gruppi di “Women’s History Studies” è stato in Sicilia. Insieme ad altre storiche abbiamo istituito un gruppo tra di Palermo, Messina e Catania in cui ci riunivamo. Poi questo sfociò in tutta Italia diventando la società italiana delle storiche.
In questo caso non direi il ’68, ma il ’76. Bisogna fare una distinzione tra le due. Perché mentre per il mondo anglosassone possiamo legare del ’68 con la nascita del femminismo, dobbiamo ricordarci che in Europa, nel 1968, c’era ancora un forte maschilismo. In Italia il femminismo vide la luce solo a partire dal 1976 dopo la battaglia per il divorzio. Alle nostre manifestazioni non partecipavano mai degli uomini, specialmente all’inizio, in quanto c’era una fortissima incomprensione. C’erano però alcuni ginecologi che praticavano l’aborto clandestino gratuitamente. Tuttavia, c’è ancora molto da lottare. Non dobbiamo abbassare la guardia, anzi forse adesso bisogna alzarla sempre di più perché purtroppo sta ritornando un clima di revanscismo ed intolleranza. Proprio la questione aborto è molto calda dal momento che la stragrande maggioranza dei medici per propria morale non pratica l’aborto. Da quarant’anni esiste una legge e gli ospedali ne dovrebbero garantire l’applicazione.
Io sento di dire che non bisogna chiudersi nel proprio mondo. La cosa che mi spaventa di più è il fatto che voi avete un orizzonte limitato anche a causa di internet che, invece di mettervi in contatto con tutto, vi distacca dalla realtà. Tutto sembra virtuale, ma la vita non è virtuale. Ci stiamo assuefacendo a tutto. Niente ci fa più ribellare, niente ci provoca più indignazione. L’indignazione è una cosa importante, anzi dovremmo indignarci di più. Perché non è vero che certe cose non ci toccano. Io nel mio piccolo da insegnante cerco di suscitare ai miei studenti uno spirito critico ed attivo nei confronti di quello che succede.
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