I dati contenuti all'interno della "Rivista economica del Mezzogiorno" evidenziano l'aggravarsi di una tendenza che ha radici radicate nel tempo.
La “fuga dei cervelli” non è un problema che riguarda soltanto il trasferimento di giovani italiani all’estero, ma si presenta in chiave diversa all’interno dello stesso territorio nazionale. La questione è quella, secolare, del divario tra Nord e Sud Italia. Come la generazione dei padri e dei nonni, che si trasferivano al Nord in cerca di un lavoro più remunerativo, così i giovani studenti meridionali lasciano le loro terre, trasferendosi nei più blasonati atenei del settentrione con le stesse speranze nel cuore.
Non si tratta soltanto della solita retorica del Sud svantaggiato, che può essere blandita con programmi di “salvataggio” come “Resto al Sud”; a parlare sono i dati. Sempre più studenti annualmente si aggiungono ai centomila fuorisede che lasciano l’ateneo locale in cerca di speranze migliori e, soprattutto, di un titolo che dia accesso a maggiori sbocchi lavorativi.
A compiere l’indagine è la “Rivista economica del Mezzogiorno”, diretta da Riccardo Padovani. Il primo dato parla chiaro: nell’anno accademico 2016-2017 le immatricolazioni negli atenei siciliani sono calate del 27,6% e gli iscritti ai corsi magistrali del 43,5%, segno dell’aggravarsi della tendenza, da parte degli universitari, a lasciare l’ateneo locale una volta conseguita la laurea triennale. Il fenomeno peggiora nel tempo: a lasciare l’ateneo di immatricolazione dopo il primo anno, per poi trasferirsi al Centro-Nord per laurearsi è circa il 40%.
Nel mondo del post-laurea, per chi resta ci sono poche possibilità di lavoro, in una situazione di partenza già tutt’altro che rosea. A trovare lavoro, fra i possessori di laurea magistrale, è il 70,2%, rispetto all’81,6% del Centro-Nord. Oltre al danno, inoltre, la Rivista evidenzia anche quella che è una vera beffa per i laureati al Sud: chi si laurea in atenei settentrionali e trova lavoro nella propria terra, in oltre la metà dei casi dichiara di aver ottenuto un miglioramento della propria condizione lavorativa proprio grazie al titolo conseguito in un ateneo più prestigioso.
Il problema, dunque, è duplice: non si tratta soltanto di ristrettezza del mercato del lavoro, ma anche di una preparazione professionale che, da quanto si evince dai dati, negli atenei meridionali sembra scarseggiare rispetto a quelli del resto d’Italia. Ecco perché, sottolinea la Svimez, una possibile soluzione potrebbe essere un finanziamento differenziato in base alla dimensione degli atenei, strutturato in modo da sostenere le aspirazioni dei giovani nei territori più in difficoltà.
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