Un’interessante giornata di studi internazionali dal nome “La ricerca per Giulio Regeni” si è tenuta oggi nei dipartimenti di Scienze Politiche e Scienze Umanistiche. Gli interventi hanno analizzato il contesto socio-culturale e politico dell’Egitto e le relazioni tra questo e l’Italia, che hanno fatto da sfondo alla tragica vicenda del ricercatore italiano.
Stamattina, presso l’Aula Magna di Palazzo Pedagaggi, sede del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali ha preso il via la seconda giornata di studi internazionali, organizzata dalla Società per gli studi sul Mediterraneo (SeSaMO) e dalla British society for middle eastern studies (BRISMES).
Dopo i saluti del prorettore Giancarlo Magnano San Lio, il direttore di Dipartimento Giuseppe Vecchio ha affermato: ”Ritengo che un dipartimento come quello di Scienze politiche e sociali abbai il dovere di affrontare i problemi che sono emersi nella situazione specifica personale del dottor Giulio Regeni, sulla quale a livello giuridico non si può dire nulla, ma che ha portato alla attenzione dell’opinione pubblica mondiale una serie di contraddizioni e problemi che esistono nella cultura scientifica quando tenta di fare riferimento all’universo sconosciuto e di difficile interpretazione rappresentato dal Medio Oriente e dal Nord Africa.”
Prima di passare agli interventi dei relatori, Luca Ruggiero, presidente del Corso GLOPEM, ha ribadito come la necessità di seria discussione accademica e scientifica sulla situazione e sul contesto in cui è scomparso Giulio Regeni, è stata la motivazione dell’organizzazione dell’evento ospitato dai due dipartimenti Unict.
Paul Starkey, docente della Durkham University ha analizzato le reazioni britanniche, della stampa, della politica e dell’Università riguardo il caso Regeni. Tracciando punto per punto, la lunga sequenza di eventi che hanno seguito la morte dello studente italiano, ha messo in luce le difficoltà nell’investigazione e nella ricerca della verità del caso Regeni dovute alla mancanza di una reale cooperazione nelle indagini e depistaggi da parte delle autorità egiziane.
Inoltre, facendo riferimento ad alcuni articoli del giornale britannico the Guardian ed ad altri de La Repubblica, il docente si è soffermato sulla querelle nata tra i due mezzi di informazione a partire dall’accusa del giornale italiano della mancata collaborazione dell’Università di Cambridge e in particolare della professoressa Maha Mahfouz Abdelrahman con gli inquirenti italiani che indagano sull’uccisione di Giulio Regeni.
La Repubblica infatti, non mettendo in dubbio che la responsabilità dell’omicidio Regeni sia dell’autorità egiziane, ha più volte sostenuto di dover fare chiarezza sui rischi a cui sarebbe stato esposto il giovane da parte dell’Università di Cambridge e della docente che lo seguiva nel suo percorso di dottorato. Tali articoli contenenti le accuse avanzate dal quotidiano italiano sono state contestate dal The Guardian, che ha riportato un appello firmato da 334 figure del mondo accademico internazionale, in difesa della collega, che a loro detta sarebbe ingiustamente accusata.
Giulio Regeni, dottorando all’Università di Cambridge, si trovava in Egitto dal 2015 per condurre una ricerca sulla situazione dei movimenti sindacali egiziani dopo la rivoluzione del 2011. La ricerca in questione era stata commissionata al giovane dalla professoressa Abdelrahman, che è stata solo recentemente, dopo vari rifiuti, interrogata dalle autorità italiane.
Elisabetta Brighi, docente dell’Università di Westminster, ha parlato delle relazioni tra l’Italia e i Paesi del Medio Oriente e Nord Africa, con riguardo particolare all’Egitto, attualmente presieduto da Al Sisi. Il leader egiziano, lodato dal ex premier Matteo Renzi a Sharm el Sheikh durante una conferenza sugli investimenti in Egitto, non è però una figura così degna di lode.
Tuttavia, le relazioni economiche tra Italia ed Egitto erano molto solide e lo sono ancora oggi dopo l’omicidio Regeni. “L’Egitto è un nostro partner strategico e ha un ruolo fondamentale per la stabilizzazione della regione”- ha dichiarato una volta il ministro Gentiloni.
Infatti, dopo il caso Regeni anche se le relazioni diplomatiche tra i due paesi si sono un po’ incrinate, non si può dire lo stesso di quelle commerciali ed economiche, che vedono l’Italia grande importatrice di Petrolio greggio, per un totale di 347 milioni di euro nel 2017. Inoltre, in Egitto sono presenti 130 aziende italiane che contano gare d’appalto 2,5 miliardi di dollari. Tra queste in particolare, l’ENI, che da oltre 50 anni è presente in Egitto, e che ha scoperto di recente un nuovo giacimento chiamato Zhor, con riserve stimate a 850 miliardi di metri cubi di gas, tali da trasformare la condizione energetica del paese.
In questo scenario, dove gli interessi economici particolari sembrano avere la meglio sulla tutela dei diritti umani, spiega la docente, non possiamo che arrenderci al fatto che la stabilità e la democrazia siano una lontana illusione.
L’espansione della democrazia non è forse un’illusione? Le primavere arabe del 2011, avevano portato avanti la speranza che la democrazia potesse realmente diffondersi nei territori del Nord Africa e del Medio Oriente, i fatti storici il più delle volte hanno però dimostrato il contrario. Lontani da una reale apertura e liberalizzazione, i paesi di questa zona continuano ad essere governati da regimi autoritari.
L’Egitto è proprio uno di questi casi. Classificato da Freedom House come Paese non libero nel 2018, l’Egitto resta un regime autoritario, dove è negata qualsiasi forma di dissenso, dove non esiste libertà di parola, dove persiste ancora il terrorismo religioso contro la Chiesa copta e dove la tortura e l’uccisione sono ancora i mezzi della repressione di Stato.
In questo contesto, Giulio Regeni, è stato brutalmente torturato e assassinato tra gennaio e febbraio del 2016, mentre conduceva la sua ricerca, combattendo affinché i valori della libertà e della democrazia in cui credeva potessero essere sempre meno l’illusione che sono oggi.
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