Esultare dopo un gol al 90esimo o soffrire di crepacuore quando la squadra avversaria innesca un contropiede decisivo sono emozioni comuni nell’animo di un tifoso. La scienza, ha deciso di indagare anche su questo e, con un apposito studio, è riuscita a dimostrare che il tifo non è solo frutto di reazioni istintive, ma anche di una serie di segnali nervosi elaborati all’interno della corteccia cerebrale, in una zona tutt’altro che prevedibile.
Uno studio di ricercatori, studiosi di neuroscienza, appartenenti al D’or Institute for Research and Education, coordinati da Jorge Moll, è riuscita a dimostrare che il tifo è segno di appartenenza ad un determinato gruppo culturale e lo stimolo nervoso prodotto, quello che poi si traduce materialmente in un forte legame di appartenenza alla propria squadra, ha la stessa origine dei più stretti legami familiari o con persone a noi fin troppo care. L’interessante scoperta si basa su un innovativo esperimento: è stato selezionato un campione sperimentale di decine di tifosi, simpatizzanti per squadre diverse, cui è stato chiesto di manifestare quale scelta preferissero tra l’elargire denaro nei confronti di tifosi di una squadra avversaria o della propria. In alternativa, gli stessi potevano scegliere se optare per trattenere la somma per sé.
È facile pensare che la maggior parte di essi abbia preferito l’alternativa “egoistica”; notevolmente curioso il tipo di indagine effettuata sui singoli, sfruttando la risonanza magnetica funzionale, che ha permesso di analizzare quale aree cerebrali entrano in funzione quando si compiono scelte altruistiche nei confronti di altri individui con cui si pensa possa esserci una qualche affinità. Moll ha subito chiarito che il risultato non è sorprendente, poiché il tifo per una stessa squadra è una delle molteplici dimostrazioni dell’appartenenza ad un gruppo culturale comune, in cui è risaputo che vi sia più empatia nei confronti di altri individui.
La vera sorpresa, allora, è data proprio dalla scansione cerebrale: compiere scelte altruistiche verso individui accomunati da emozioni, passioni o ideali comuni mette in moto l’area subgenuale della corteccia cerebrale, la stessa che regola ansia e appetito, che contribuisce in maniera primaria alla formazione dei ricordi e da cui partono soprattutto i nostri gesti più dolci, di affetto verso i nostri cari. Secondo le previsioni più ottimiste, questa inaspettata conclusione potrebbe essere in grado di fornire, in futuro, giustificazioni psichiatriche di fenomeni che spingono all’aggressione verso i dissimili: ciò che nel mondo del tifo è ormai piaga diffusa alla base della violenza negli stadi.
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