C’è chi lo utilizza quotidianamente per comunicare, in contesti familiari o intimi, tra parenti e amici, o anche sul posto di lavoro; e c’è poi chi lo studia, cercando di fornire informazioni affidabili. Il siciliano, seppure per molti rappresenti qualcosa di naturale, un modo di essere o di esprimersi, è a tutti gli effetti una lingua che necessita di norme ortografiche.
Per questo motivo, nel 2016 è nata la Cadèmia Sicliana che ha come obiettivo quello di “aiutare i parlanti siculofoni nell’utilizzo della propria lingua”. L’organizzazione, che desidera diventare un’autorità nel settore (come nel caso dell’Accademia della Crusca per l’italiano e dell’Acadèmie française per il francese), cerca di “restaurare un’immagine del siciliano salutare”, come spiega a LiveUnict Salvatore Baiamonte, co-fondatore del progetto. I loro studi e approfondimenti hanno dato alla luce i primi risultati.
Tra questi, vi è la “Proposta di normalizzazione ortografica comune della lingua siciliana”, nata da ricerche autonome durate alcuni anni. “È uno strumento per tutti coloro che parlano siciliano, – spiega Baiamonte – per poter scrivere abbattendo le possibili barriere ortografiche tra un dialetto e l’altro: abbiamo cercato la sintesi tra la realtà del parlato e quella che è la tradizione letteraria siciliana, spesso poco conosciuta dal pubblico. Il bello di questa ortografia è che tutti possono scrivere allo stesso modo e leggerla secondo la pronuncia del proprio dialetto. È il primo di una lunga serie di documenti, i prossimi perfezioneranno il modo in cui scrivere in siciliano.”.
La Cadèmia Siciliana è al passo con i tempi e, per promuovere le proprie iniziative, utilizza Facebook. Ha infatti collaborato affinché il siciliano venisse riconosciuto e inserito nel database del noto social network: questo significa che qualsiasi utente può creare dei post, indicando che sono stati scritti proprio in lingua siciliana.
L’organizzazione propone, inoltre, tramite i video di Youtube, lezioni virtuali in cui si spiega come parlarlo. Le spiegazioni sono in inglese, perché “siamo un’associazione transnazionale – precisa Baiamonte – mettiamo radici dovunque vi siano dei siciliani o loro discendenti che vogliano recuperare o mantenere il legame con la propria lingua o la lingua dei propri avi, e costruiamo ponti per mettere in contatto queste aree anche molto lontane del mondo siculofono, che è più vasto di ciò che si pensa: i siculofoni e soprattutto i siciliani sono stati i protagonisti di una diaspora non indifferente, davvero si trovano dei siciliani e loro discendenti in ogni parte del mondo“.
“Soprattutto negli USA – continua – vi sono molti discendenti (alcuni dei quali hanno finanziato e finanziano la serie di video didattici su YouTube) di siciliani emigrati – lo stesso Paul Rausch, che è tra i fondatori della Cadèmia Siciliana, è nato e cresciuto negli USA in una famiglia siculofona. E può sembrare incredibile, ma abbiamo anche studenti che non sono legati alla Sicilia ma studiano il siciliano per le ragioni più disparate”.
La Cadèmia Sicliana è formata infatti da un team di ricercatori, docenti universitari e linguisti; alcuni tra questi non sono né siciliani né siculofoni. In comune hanno l’interesse per il siciliano che “è un insieme di dialetti che valica i confini geografici della Sicilia”, studiato perché “le tematiche legate alle lingue minoritari e regionali stanno sempre più a cuore alla generazione di accademici che operano in ambito linguistico”.
“Abbiamo tenuto un atteggiamento particolare – ci racconta il co-fondatore del progetto – nei confronti delle possibili differenze locali della Sicilia e della Calabria meridionale (i cui dialetti sono da considerarsi dialetti della lingua siciliana), poiché la nostra situazione è piuttosto fortunata: tralasciando le differenze nel lessico che può variare da una zona all’altra (cosa che succede in tutte le lingue), le differenze anche di pronuncia dei vari dialetti non ostacolano la comprensione di parlanti che provengono da aree diverse dell’Isola; ecco perché abbiamo deciso che la nostra “Proposta” avrebbe dovuto avere il pregio di adattarsi a tutti i diversi tipi di parlato”.
Ma le difficoltà non mancano, alcune delle quali alimentate da pregiudizi e ignoranza: ”Sicuramente non è stato facile mettere in piedi ciò che abbiamo fatto finora e non lo sarà in futuro – racconta Salvatore Baiamonte -, soprattutto perché la lingua siciliana soffre di una forte stigmatizzazione, e da molti viene ancora chiamata dialetto in modo dispregiativo. Non esistono lingue più o meno rozze, esistono semmai modi rozzi di parlarle, ed il siciliano non è da meno”.
“Il siciliano come tutte le lingue ha un valore immenso – conclude – è la voce che la plurisecolare cultura siciliana per lungo tempo ha impiegato per farsi sentire dal mondo. Parlare siciliano non è né indice di ignoranza (credo che noi siamo la prova lampante: lo parliamo tutti pur essendo laureati e/o accademici), né di rozzezza”.