Aumentano le immatricolazioni nelle università italiane, ma non si arresta la fuga degli studenti universitari, soprattutto dal Sud Italia.
Il “Mezzogiorno” si spoglia del suo futuro, ogni anno, sempre di più. Soprattutto dalla Puglia, dalla Sicilia e dalla Calabria, i giovani fuggono verso il Nord Italia, che pare essere terreno fertile per piantare e far germogliare il seme del proprio futuro. Un processo di popolamento degli atenei del Nord che ha avuto culmine nell’anno accademico 2015/2016, quando i giovani del Sud hanno scelto di andare a studiare al Nord, mentre precedentemente non andavano oltre gli atenei del Centro Italia.
Un processo che si è propagato anche nell’anno accademico 2016/2017, quando sono anche aumentate le immatricolazioni in tutta Italia (un dato positivo), ma che di certo non hanno portato alla rivalutazione e al ripopolamento degli atenei del Sud. Al Miur non resta che confermare tale svilimento delle università meridionali. Infatti, mentre al Nord, i neodiplomati si immatricolano la maggior parte nella regione di provenienza, nel Mezzogiorno d’Italia, i neodiplomati fuggono dalle proprie città, per andare proprio nel Settentrione. In particolar modo, in tale contesto, sono la Basilicata e il Molise ad essere le regioni soggette ad un’eccessiva “fuga di cervelli”.
C’è da domandarsi sul perché di questo fenomeno. Certo è, però, che non si possa dare una risposta precisa. La cosiddetta “fuga di cervelli” è un effetto che scaturisce da molte cause (come tutto, del resto). Il Miur recita così, nel suo documento, in merito alla fuga dalla Basilicata e dal Molise: “presumibilmente a causa di un’offerta formativa limitata nella propria regione“. E come poter negare una tale situazione nel Mezzogiorno, e più in particolare, nella nostra Sicilia.
Non è che le università del Nord siano migliori di quelle del Sud, ma è proprio l’offerta e le possibilità che il nostro piccolo angolo di mondo ci offre, che ai nostri occhi, par esser nulla, o minima (e forse è realmente così). Sia chiaro, non vi è a monte di tutto il voler viaggiare o voler fare esperienze: il problema è che ai giovani manca la fiducia nella propria Terra e nel tessuto socio-economico che essi compongono. Uno svilimento della classe studentesca siciliana – e quindi del futuro della Sicilia – a favore di un arricchimento dell’Italia centro-settentrionale.
Basti analizzare i dati del Miur. Sono ben 1.405 i laureati magistrali che risiedono in Sicilia, ma, emerge un altro dato: solo 766 si sono laureati nella propria Terra, mentre il restante – ovvero 639 studenti, nonché il 45,5% del totale – ha preferito fare le valige e formarsi e laurearsi negli atenei del Nord, scelti perché in una posizione di prestigio più elevata rispetto a quelli del Meridione della penisola. Si parla, comunque, del 68% di laureati in Sicilia (tra triennale e magistrale); mentre, al di sopra della pianura Padana, i laureati nella propria regione vanno tra il 90% e il 75%.
Questa è una perdita per la Sicilia e per i suoi figli. Abbandonare le comodità di casa propria non è mai facile per chi vive in questa Terra, anche se apparentemente la si maledice per tutto. Ma non è forse vero che, tutta questa emigrazione verso il Nord, è causata anche dai tagli ai numeri di posti disponibili nei vari corsi? Il numero chiuso, nel Mezzogiorno e in Sicilia, è un valore (negativo) aggiunto a tutta la situazione che si è creata. La Sicilia perde i suoi ingranaggi fondamentali: dunque, la nostra Isola, riuscirà ancora a formare quelle parti che servono al suo futuro e al futuro di tutti?