Ogni posto ha un passato ricco di eventi e di storie. Un passato che l’ha plasmato, attraverso scelte a volte sbagliate e altre volte corrette. L’Università degli studi di Catania è molto di più. Racchiude in sé cinque secoli di storia, di leggende, di avvenimenti, di momenti difficili, ma anche di riforme. Oggi dedicheremo uno spazio interamente alle origini e alla fondazione dello Studium di Catania.
L’idea inizia a prendere forma e matura tra il 1434 e il 1444. Alfonso d’Aragona emana il privilegio istitutivo che verrà assunto nella tradizione dell’Ateneo come la data di fondazione: ma bisogna attendere il 1444 perché siano rimosse le resistenze locali e il pontefice Eugenio IV si firmi il breve istitutivo. L’inizio dell’attività è fissato dal sermone del Geremia De laude scientiarum che egli tenne il 26 luglio 1445.
Dopo un buon avvio, travagliato ma positivo, nel secondo Quattrocento, lo Studium (ora Siculorum Gymnasium) vivrà nel Cinquecento forse il tempo più difficile della sua lunga storia. Dovrà difendere il privilegio da Messina (i gesuiti) e da Palermo, ma soprattutto vede modificarsi profondamente il contesto geopolitico di Catania. Frattanto il vicerè è chiamato a mediare i costanti conflitti tra il Vescovo-cancelliere e il rettore degli studenti, tra la Chiesa e l’aristocrazia cittadina. La vicenda della peste del 1575 sottolinea, inoltre, il dislivello tra la medicina accademica e la medicina sociale.
Dal 1595 lo Studio occupa la casa palazzata, in “contrata della strata della luminaria” (la futura via Etnea) sino al 1684, quando in seguito ad accorti acquisti e permute potrà insediarsi nel luogo del presente Palazzo centrale.
Il Seicento conosce un declino del patriziato, del potere economico cittadino. Catania si stringe allora a Messina: estende la sfida a Palermo anche sul terreno culturale. La città e l’Università saranno a vario titolo coinvolte nella ‘guerra di Messina’ (1674-79). Dopo la ‘cancellazione’ di Messina ribelle, che aveva coinvolto (1679) anche lo Studio messinese, l’Università catanese non ha rivali in Sicilia e vede rafforzati i suoi privilegi. Supera, non senza difficoltà, la frattura del terremoto (1693) che ha sconvolto l’assetto demografico e urbanistico della città e prende parte diretta alle scelte di prestigio nell’avviata ricostruzione.
Tre le facoltà, dodici gli insegnamenti: teologia speculativa, teologia dommatica, teologia morale, diritto civile de mane e diritto civile de sero, diritto canonico, diritto feudale, istituzioni (instituta) romane, medicina de mane e medicina de sero, filosofia de mane e filosofia de sero, chirurgia, logica, matematica. I docenti, scelti per concorso, avevano un incarico triennale: alla scadenza, potevano ricandidarsi, anche per discipline diverse da quella prima professata. La prevalenza, in numero e qualità di docenti e studenti, va alle facoltà di Legge e di Medicina: un prestigio che risale alle origini dello Studium e che verrà posto in discussione solo nel tardo XX secolo.
La riforma generale degli Studi si ha nel ’78, quando le risorse provenienti dall’Azienda gesuitica sono già destinate a finanziare un sistema generale di istruzioni. Allora G. A. De Cosmi presenta il suo Piano al vescovo-cancelliere: la Sicilia non è “tra le nazioni illuminate e polite”, e sono soprattutto ‘le discipline esatte’ ad esser trascurate.
“Si ha gran numero di teologi di scuola, ma pochissimi che coltivano le lingue dotte, l’ebreo, il siriaco, il greco, che sono le vere fonti della teologia solida. Gran numero di giureconsulti di professione, ma per lo più sforniti di quella culta e sublime letteratura, che capaci li renda di profittare dei fonti greci e latini. Gran numero di medici, ma senza sperienza di fisica, senza mecanica, senza sezioni anatomiche: che imparano la medicina dai libri e non dalla natura. Scarsissima soprattutto è la nazione di uomini esercitati nella pratica della geometria e della meccanica. Non abbiamo una specola di astronomia. Non un teatro anatomico, non una scuola di commercio, non d’agricoltura, non d’idraulica, non d’industria”.
Con l’Unità d’Italia entra in vigore la Legge Casati che ripristina l’ufficio del Rettore (abolito nel 1779), stabilendo che venga eletto tra i professori (e non più tra gli studenti dell’ultimo anno, come prima dell’abolizione) e stabilisce cinque facoltà per l’Università: filosofia, lettere, giurisprudenza, scienze fisiche e matematiche, e teologia. Nel 1867 gli iscritti erano appena 143. Dal 1877 è il potere locale a sostenere finanziariamente e politicamente l’Università, che riesce così a rilanciarsi ed essere riammessa, nel 1885 tra le Università di primo ordine. È l’epoca dei Majorana (Salvatore ed i figli Giuseppe, Angelo e Dante) e di De Felice.
Tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento è l’era d’oro dell’ateneo: Mario Rapisardi, Luigi Capuana per la letteratura, ma anche una grande quantità di scienziati. In questi anni si rafforza lo storico asse legge-medicina, le due facoltà “forti”.
Proprio nel ‘900 si assisterà a una rivoluzione sul piano architettonico. Nel 1934 l’Università celebra con grande solennità il 5° centenario della fondazione dello Studio: appartiene a questi decenni il consolidamento e l’espansione dell’edilizia universitaria. Francesco Fichera, innamorato della Catania settecentesca che vuol riscoprire, tenta operazioni di maquillage architettonico sul Palazzo centrale. Il nuovo sta altrove: gli insediamenti di via Androne crescono ad una ‘cittadella‘ vera e propria; e nasce il Palazzo delle Scienze, con fra le altre la nuova Facoltà di Economia e Commercio. E prende forma, negli anni Trenta, quella politica di disseminazione dei luoghi dell’Università da tempo preparata: quei luoghi son nodi vitali del riassetto urbanistico di Catania, e collocano l’Ateneo tra i poteri ‘forti’ della città. Crescono gli studenti, soprattutto con incremento costante a Medicina e a Legge, mentre cresce a Lettere la presenza femminile. Aumentano anche presso gli ospedali cittadini le cliniche universitarie (nel ’34 al “Vittorio Emanuele” la Clinica medica si aggiunge alla pediatrica).
Col secondo Dopoguerra, l’Ateneo assume e mantiene posizioni di tutto rispetto nel confronto con gli Atenei siciliani e meridionali: nell mezzo secolo (1943-2003) il segno più forte è rappresentato dalla politica edilizia. Sanfilippo volle ‘la cittadella’, il Nuovo Centro Universitario Clinico-Scientifico di S. Sofia, come area di espansione dell’Università. Potè dare alla sua Facoltà giuridica la sede prestigiosa della villa Cerami, acquistata e ristrutturata. Più complessa e positiva l’opera di Rodolico, una personalità dinamica e creativa, che scelse di lasciare nel Centro storico le Facoltà umanistiche (Giurisprudenza, Lettere, Economia) trasferendo nella Cittadella le Facoltà scientifiche – Medicina, Scienze, Ingegneria, Agraria e realizzò un programma imponente di costruzioni e trasformazioni. Espansione di Giurisprudenza, insediamento di Lettere nel grande monastero dei Benedettini (donato dal Comune), l’acquisizione di palazzo S. Giuliano destinato ai servizi centrali e di palazzo Paternò Raddusa per la Facoltà di Scienze politiche, riallocazione di Economia e del Magistero.
La moderna storiografia sull’Ateneo comincia proprio nel 1934, con un’ampia storia a più mani (Storia dell’Università di Catania, Catania 1934, 2 volumi). L’Archivio Storico dell’Università, di recente riordinato, si trova ora in nuovi spazi funzionali del Palazzo Centrale.
Una storia fatta di conroversie Stato-Chiesa che hanno portato oggi alla trasformazione di due grandi aree (umanistica e scientifica) in cui si snodano le vite degli studenti. Una città universitaria, una mistura tra vecchio e nuovo, tra storia e modernità in cui plasmare la propria identità.
LEGGI ANCHE: La vera storia dell’ateneo catanese: dal 1444 ad oggi in una carrellata di eventi e curiosità [FOTO]