La riforma universitaria “3+2”, che ha dato vita ai corsi di laurea triennali, non ha sorbito gli effetti sperati. A distanza di 16 anni anni dalla riforma, mettendo a confronto il vecchio ed il nuovo ordinamento universitario, emerge che il numero dei laureati è sempre in calo e l’età media del conseguimento della laurea è sempre alta, sopra i 27 anni.
Nel 2000, finiva il vecchio ordinamento e veniva introdotta la riforma universitaria Berlinguer/ Zecchino, meglio conosciuta come quella del “3+2”, la quale ha dato vita alle note lauree triennali con relativi due anni di specializzazione o master. La riforma nasceva con l’obiettivo di anticipare l’età di uscita dall’università, formando da subito studenti, i cui profili professionali avrebbero dovuto trovare riscontro immediato nel mercato del lavoro.
A distanza di 16 anni, la realtà rivela il fallimento di tale riforma, che risiede soprattutto nell’incapacità delle lauree triennali di offrire sbocchi professionali ai laureati.Ragion per cui oggi, l’80% dei triennalisti prosegue e consegue la laurea magistrale.Il più grande fallimento della riforma, secondo Gaetano Manfredi, presidente della Conferenza dei rettori, è proprio questo: “La laurea triennale, che avrebbe dovuto attirare soprattutto i diplomati provenienti dagli istituti tecnici e professionali, non è sempre professionalizzante e spesso non trova riscontro nel mercato del lavoro.”
Mettendo a confronto il vecchio ordinamento con quello nuovo post riforma emergono altre criticità. In particolare emerge che i giovani che oggi riescono a concludere l’intero percorso quinquennale o quello a ciclo unico sono addirittura meno rispetto ai laureati del 2000: Nel 2016, i laureati magistrali o con percorso a ciclo unico (Architettura, Odontoiatria, Medicina, Veterinaria, Giurisprudenza, Farmacia) sono stati 130mila. Sedici anni prima, i laureati quadriennali, quinquennali e dei percorsi di sei anni furono quasi 144mila. Restano fuori dal confronto i laureati triennali che nel 2016 sono pari a 175mila.
Ancora si evince che, al contrario di chi ha pensato che con l’introduzione della laurea triennale e di quella specialistica nei nostri atenei i tempi d’uscita si sarebbero accorciati, ciò non è avvenuto. Se nel 2000, ai tempi del cosiddetto “vecchio ordinamento”, ci si laureava in media a 27,6 anni, sedici anni dopo siamo scesi appena a 27,1.In più c’è da dire che per acquisire i due titoli (quello triennale più quello biennale, detto anche magistrale) si va ancora fuoricorso.Infatti, per completare il percorso triennale occorre mediamente studiare 4,9 anni: a fare più fatica i ragazzi che frequentano le facoltà del gruppo letterario (Filosofia, Storia, Lettere), che mediamente impiegano 5,2 anni. Anni che diventano 7,4 anni per i percorsi a ciclo unico di cinque anni e oltre.
Il fallimento della riforma risulta parziale, in quanto, secondo Eugenio Gaudio, rettore dell’università La Sapienza di Roma, si salvano le lauree triennali delle Professioni sanitarie, le quali “rappresentano una novità, come la laurea Infermieristica, che ha prodotto un innalzamento della qualità del sistema sanitario”. Infine, secondo Francesco Ferrante, membro del Comitato scientifico del consorzio Almalaurea: “È difficile paragonare due sistemi così diversi. Qualcosa però è migliorato: nel vecchio ordinamento si laureava in regola il 9 per cento degli iscritti, oggi siamo a quota 35 per cento. Un dato che comunque non ci soddisfa, soprattutto al cospetto delle altre nazioni.I laureati sono pochi perché il mercato del lavoro, in maniera anomala, ne richiede pochi per un paese avanzato. E in Italia non ci sono abbastanza incentivi per convincere i giovani a proseguire gli studi.Non dimentichiamo che in Italia l’università ha subito un consistente taglio di risorse: un laureato italiano costa la metà di uno tedesco”
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