Le università meridionali investono sempre meno sui propri studenti, favorendo, di fatto, le concorrenti del Nord. Tra i non molto numerosi giovani che puntano ancora sul valore dell’istruzione, la maggioranza preferirebbe, quindi, spendere le proprie fatiche e i propri fondi in atenei del Settentrione, scegliendo di restare, il più delle volte, anche dopo la laurea.
Si sente parlare ormai spessissimo, di “Fuga di cervelli” ovvero di giovani italiani che scelgono di portare il proprio capitale umano e intellettuale lontano dal Paese, alla ricerca di un futuro meno incerto e di gratificazioni professionali e personali che difficilmente riuscirebbero a ottenere in Italia. Solo nel 2016, i dati parlano chiaro: lo scorso anni si è registrato un aumento del 20% di ragazzi che hanno scelto di affrontare un percorso di formazione universitaria all’estero, ritenendo di avere maggiori chance nella futura ricerca professionale.
La fuga di cervelli, tuttavia, non riguarda soltanto quei giovani che lasciano casa per studiare in università straniere, ma è un fenomeno molto più ampio e complesso, che si annida anche in dinamiche interne al territorio. Se numerosi sono gli studenti che emigrano all’estero, ancora più consistente è la fetta di neodiplomati al Sud Italia che, finito il liceo, decidono di abbandonare il Mezzogiorno e iscriversi presso università del Nord.
Il fenomeno non stupisce affatto, se si considera come gli atenei del Mezzogiorno abbiano ormai pressoché rinunciato a investire nel campo dell’istruzione, cedendo in questo modo le proprie risorse lavorative alle regioni del Settentrione. Se le università del Sud non puntano più sui giovani, allora questi ultimi reagiscono rinunciando alla formazione universitaria, ritenuta sempre meno conveniente e utile al fine di un lavoro, e scegliendo di affacciarsi al mondo professionale già dopo il diploma optando, nuovamente, per le città dalla Capitale insù. In Sicilia, per esempio, circa il 30% dei neo-diplomati abbandona la propria terra per cercare lavoro in città come Torino, Pisa, Milano, Verona o Roma.
Questo fenomeno migratorio verso il Nord comporta, a sua volta, un drastico calo delle iscrizioni in atenei del Mezzogiorno, istaurando, di fatto, un circolo vizioso che danneggia anche l’economia. In Sicilia il calo delle iscrizioni si aggirerebbe intorno al 19,7%, stando ai dati riguardanti gli anni dal 2008 al 2012, mentre in Puglia il calo riguarda il 18,7% degli studenti.
Tutto ciò si inscrive all’interno di una cornice economica già di per sé disastrosa, con la Calabria che registra livelli di disoccupazione giovanile pari al 58,7%, mentre la Sicilia si accoda con il 57% circa e la Sardegna con il 53%. Se si pensa che in Lombardia, al contrario, la disoccupazione giovanile ammonta al 18,7% circa, una percentuale comunque alta ma notevolmente distante da quelle delle regioni meridionali, allora lo spacco tra Nord e Sud sembra diventare quasi insormontabile, determinando, di fatto, due nazioni, Nord e Sud, all’interno di una sola; due realtà distanti, che sembrano non voler trovare un punto d’incontro.
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