Secondo uno studio dell’Unesco – “Towords 2030” – conclusosi nel dicembre 2016, nel mondo, un giovane su tre oggi frequenta l’università. Un dato sorprendente se si considera che è più del doppio di vent’anni fa. Lo studio analizza, infatti, alcuni dati di oggi mettendoli in rapporto con quelli del 1996, anno in cui solo il 14% dei ragazzi e delle ragazze (tra i 18 e i 24 anni) frequentava un ateneo. Oggi, invece, è il 32% di quella stessa porzione di popolazione a frequentare l’università e ben 54 i paesi coinvolti. Sarebbero 200 milioni gli studenti iscritti e si stima che, fra otto anni, il numero crescerà a 260 milioni. L’università è diventato un fenomeno di massa.
È soprattutto nel mondo orientale – Corea del Sud, Malesia, Cina – che i numeri, negli ultimi vent’anni, sono diventati elevatissimi. Secondo l’Higher Times Education, però, tra le prime dieci università sei sono americane e la prima è inglese. Gli USA rimangono imbattibili per quanto riguarda il numero di studenti di dottorati internazionali, che sono circa il 40%.
Anche l’Europa non si piazza male, sebbene il confronto con i giganti americani e inglesi non giochi a suo favore. Solo il Vecchio Continente, però, ospiterebbe oggi il 22% dei ricercatori universitari di tutto il mondo. In più, l’Unione Europea sarebbe in cima alla classifica delle pubblicazioni universitarie.
E l‘Italia? Quello dell’università come fenomeno di massa, è un fenomeno che comincia già a diffondersi dal dopoguerra – e in particolare dagli anni Sessanta – quando una serie di trasformazioni economiche e sociali investì anche il sistema universitario. L’estensione dell’obbligo scolastico e della liberalizzazione degli accessi, infatti, unita a migliori condizioni economiche, incrementò il numero di immatricolazioni alle università italiane. Rispetto all’Europa e al resto del mondo, però, l’Italia non sembra avere investimenti pubblici e privati adeguati che siano capaci di supportarla e di renderla competitiva, al pari delle altre università, nonostante le eccellenze. Trieste, ad esempio, è la decima università al mondo, ma solo l’11% dei dottorandi è rappresentato da stranieri, un numero bassissimo se si considerano quelli degli altri paesi europei. Per ultimo, i nostri laureati resterebbero fermi al 25,3% della popolazione tra i 30 e i 34 anni.
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