“I quaderni di Archestrato Calcentero”: dall’arancinu dei Benedettini al cioccolato di Modica, intervista a Marco Blanco

“I quaderni di Archestrato Calcentero”, Divagazioni archeogastronomiche siciliane: un titolo che è tutto un programma. Chi è Archestrato Calcentero e di cosa parla il libro? Presto è spiegato. Il libraio modicano Marco Blanco, riuscendo egregiamente a conciliare l’amore per il cibo a quello per la cultura classica, ha dato vita a un volume inedito nel panorama editoriale.

“I quaderni di Archestrato Calcentero” è un libro che passa in rassegna divertenti aneddoti e ricette prestigiose tutte appartenenti all’antica tradizione siciliana. Ad accompagnare il saggio nel memoire finale, due importanti nomi del panorama editoriale: Simonetta Agnello Hornby, grande amante di storie siciliane,  e il giornalista e comunicatore enogastronomico Carlo Ottaviano.

Il libro, ogni capitolo del quale racchiude una ricetta tipica o un ingrediente particolare, raccoglie nero su bianco un vero e proprio patrimonio enogastronomico. Tra i casi analizzati, ampia risonanza hanno la diatriba arancinu/arancina, il cioccolato di Modica e il pomodoro, ingrediente ormai onnipresente.

Archestrato Calcentero è un gioco di parole, come afferma l’autore. Archestrato, siciliano, scrisse nel IV a. C. quella che può essere considerata, con un po’ di fantasia, come la prima guida gastronomica che la storia ci abbia tramandato. Calcentero, invece, è uno scherzo, poiché in greco calcentero, Χαλκέντερος significa più o meno “stomaco di bronzo”.

Marco Blanco è un libraio di Modica, laureato in Lettere Classiche presso l’Università degli Studi di Catania. Ha pubblicato la raccolta ragionata di detti popolari “Comu riçienu ‘antichi” (2009) giunta alla sua seconda edizione e il saggio “Modica e il suo territorio in età greca” (2014). Ha realizzato l’albero genealogico della famiglia Bonajuto contenuto in “La dolceria Bonajuto, storia della cioccolateria più antica di Sicilia” (2013).

Inoltre, l’autore Blanco è vincitore del concorso letterario internazionale “Heritage Sicilia 2013” sezione narrativa breve, ha pubblicato anche sul bimestrale “Aliante” e sul periodico letterario “Il Grande Fiume”.

Per i lettori di LiveUniCT, lo studioso ha risposto ad alcune nostre curiosità sul libro. Quest’ultimo è edito da Bonfirraro e può essere acquistato su IBS e Feltrinelli.

Da siciliano doc, ha voluto raccogliere storie e ricette della nostra terra. Com’è avvenuto questo processo di ricerca? Quanto tempo ha impiegato per fare un punto della situazione?

“L’idea di questo saggio è nata quasi per caso. Quasi dieci anni fa cominciai ad interessarmi per lavoro alla ricostruzione di alberi genealogici e per questo motivo iniziai a frequentare attivamente il mondo degli archivi. Poiché curioso e irrequieto per natura, oltre ai fondi di cui avevo bisogno per condurre le ricerche di carattere genealogico cominciai a curiosare anche tra i libri di conti dei conventi e dei monasteri scoprendo un mondo del quale ignoravo l’esistenza. Da qui l’intuizione: cosa conosciamo delle abitudini alimentari del passato in Sicilia? Quanto c’è di vero nelle storie che si raccontano e quanto invece solo folclore? Così, unendo la passione per la ricerca e quella per il cibo un semplice interesse si è trasformato in ricerca metodica e rigorosa. Ho cominciato ad raccogliere ed accumulare materiale e a integrare i dati provenienti dallo spoglio di centinaia di libri di conti, introito, esito, libri di vivande, pezzini di pagamento di monasteri e conventi con ricettari d’epoca e fonti bibliografiche antiche e moderne… Insomma, mi sono fatto prendere un po’ la mano! E dopo quattro anni è nato questo saggio, con l’unico bizzarro titolo che poteva avere.”

Nel libro è presente un riferimento alla diatriba arancinu/arancina. Un dubbio esistenziale che attanagliava gli animi già nel 1800. Cosa può dirci al riguardo? Lei, da modicano, quale dei due termini preferisce?

“Il fatto che ogni giornalista che voglia conoscere meglio il mio lavoro chieda della diatriba irrisolta (e irrisolvibile, a tutt’oggi) arancino\arancina da un lato mi fa sorridere perché penso che noi siciliani non cambieremo mai, nel bene e nel male, e dall’altro indica quanto sentito sia, quasi drammatico, questo problema filologico, puntiglio e vezzo della gastronomia siciliana. Il dilemma resta irrisolto per quanto mi riguarda perché il riferimento più antico che ho trovato, nello specifico nei libri di conti dei Benedettini di Catania, non risolve la questione. Nel primo venticinquennio dell’Ottocento infatti in quei libri di conti si utilizza indistintamente il termine arancinu\arancina, come a dire che l’incertezza della resa del genere era presente sin da allora! Personalmente nel saggio preferisco il genere maschile per una semplice linearità storica e linguistica (“arancino” è il termine usato ormai diffusamente in italiano per definire questo manicaretto) ma, da modicano e ibleo, in rosticceria non posso che gustare un’arancina: affusolata, croccante e profumata. E femmina, femmina ovviamente.”

Due grandi personaggi hanno contribuito alla stesura del libro. Cosa deve al loro supporto?

“Questo saggio è arricchito dal contributo bellissimo e prezioso di due grandi personalità: personaggi importanti ma soprattutto persone speciali. Carlo Ottaviano, grande giornalista che già un paio d’anni fa mi diede il privilegio di presentare il progetto del saggio al Food&Book, il festival del cibo e della cultura gastronomica, è stato anche il sapiente narratore del memoire di Simonetta Agnello Hornby. Un regalo davvero inatteso, perché non mi sarei mai aspettato che una scrittrice di fama internazionale mostrasse interesse e addirittura contribuisse con alcuni sui ricordi di famiglia al saggio di un “signor nessuno” qual sono. Importante è stato anche il contributo di Giancarlo Poidomani, amico storico e docente di Storia Contemporanea presso il dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania. Questo saggio deve moltissimo anche all’Antica Dolceria Bonajuto di Modica e ai suoi titolari in termini di supporto, di stima non soltanto intellettuale, di incoraggiamento, di fiducia incondizionata: a Pierpaolo Ruta dunque, e a Franco Ruta, una delle persone più geniali che abbia mai conosciuto, alla cui memoria non potevo che dedicare questo saggio.”

Dopo l’uscita del libro e le varie presentazioni in giro per le librerie, quali sono i suoi prossimi progetti?

“Oltre alla meravigliosa professione di libraio? Nonostante sia una persona piuttosto pigra e schiva insieme all’editore Bonfirraro stiamo organizzando una serie di presentazioni non solo in Sicilia (anche a Catania e spero proprio ai Benedettini, un luogo che mi è particolarmente caro perché è la facoltà in cui mi sono laureato) ma in tutta Italia: per scaramanzia non anticipo niente ma potremmo divertirci parecchio nei prossimi mesi! Personalmente inoltre, a parte l’ormai annuale appuntamento estivo con lo Str-eating, le mie passeggiate archeogastronomiche a Scicli realizzate con Enrico Russino e il ristorante Satra, con Rita Russotto e Manuel Di Stefano, sto organizzando con altri amici chef una serie di “cooking show” legati al saggio e altre presentazioni “dinamiche”, interessanti e bizzarre. Ovviamente, visto che il saggio tratta soprattutto della Sicilia orientale, sto già pensando di estendere le ricerche alla Sicilia occidentale e chissà che prima o poi non sia pubblicata una “seconda puntata”!”

Serafina Adorno

Classe 1989. Dalle sabbie dorate agrigentine e dalla bianca scala dei turchi si è trasferita a Catania per intraprendere i suoi studi e iniziare a dare forma ai suoi sogni. Laureata in Lingue e letterature comparate, lavora nella comunicazione e nei Festival del cinema.

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