Ieri si è concluso il terzo e ultimo giorno di lutto nazionale in Belgio mentre si cercano i complici dei kamikaze. Ma al di là di ogni allarmismo, a Bruxelles la vita prosegue.
Le notizie che giungono da Bruxelles ricostruiscono man mano un complicato puzzle la cui immagine è l’odio. Ben sette arresti tra il Belgio e la Francia sono stati effettuati, smantellando in parte la fitta rete jihadista che da novembre stringe l’Europa in una morsa di paura e caos. Ciò non significa che la minaccia Isis sia affievolita, ma diversi quotidiani belgi e francesi hanno confermato che con Abdeslam Salah in carcere, la morte del leader Abdelhamid Abaaoud nel blitz del 18 novembre a Parigi e dell’artificere Najiim Laachroui (kamikaze all’aeroporto di Zaventem), la cellula terroristica da loro guidata si può definire quasi estinta.
In effetti, il Belgio ha abbassato il proprio livello di allerta terrorismo da 4 (grave ed imminente) a 3 (possibile e verosimile), il segnale di una nazione che non vuole cedere all’allarmismo e allo stato di emergenza. A pochi giorni dalla tragedia, senza suscitare vittimismo o pietismo, Fiorella Privitera, studentessa al II anno del corso di laurea magistrale in Scienze Filosofiche presso l’Ateneo catanese, spiega con precisione e un poco di commozione come sono state queste giornate.
“Sono stati giorni strani per me e le altre colleghe qui in Erasmus. Eravamo sorprese, ma solo parzialmente, in quanto coscienti dei pericoli a cui saremmo potute andare incontro partendo per Bruxelles. Certo, immaginarli e poi vederli realizzarli è tutta un’altra cosa. Il primo giorno siamo rimaste a casa, tempestate di messaggi di amici e parenti e sotto shock attorno al tavolo con i nostri pasti caldi. Il giorno successivo abbiamo deciso di uscire, la scelta migliore che potessimo fare per sentirci meglio. Non aveva alcun restare segregate!
Ovviamente fuori c’è un clima di tensione, eppure in tanti hanno appeso a balconi e finestre la bandiera belga, un simbolo che non so se interpretare più come solidarietà o come forte spirito nazionalista. All’università ho trovato un clima spettrale: pochi studenti, la mensa chiusa, le attività sportive sospese, per entrare ed uscire da ogni stabilimento è necessario suonare, nonché esibire la propria tessere studente per l’accesso in biblioteca. I trasporti sono decisamente in tilt. Operano solamente alcune linee di tram, autobus e metro, ciò significa che il traffico che normalmente è ripartito ora viene incanalato sui mezzi funzionanti. Le stazioni ferroviarie Gare Centrale e Gare de Midi sono presidiate dalle forze militari. L’aeroporto di Zaventem è ovviamente chiuso, il mio fidanzato ha dovuto rinunciare al suo biglietto e comprarne un altro per l’aeroporto di Charleroi. Miriam, la mia coinquilina, aveva previsto di ritornare per Pasqua in Sicilia e invece rimarrà qui.
Questo attacco ha messo in ginocchio la città, basta colpire un ingranaggio dell’organizzazione della vita quotidiana per far precipitare tutto nel caos. Devo dire però che la cultura del vivi e lascia vivere tipica dei Belgi li sta aiutando a superare la situazione. Oggi la professoressa di francese all’università ci ha parlato entusiasticamente delle sue vacanze pasquali in Italia e ci ha chiesto se avessimo deciso di ritornare”.
Questione dolente per tutti gli studenti Erasmus è il ritorno e Fiorella ribadisce chiaramente:
“Anche il professore che mi segue per la tesi mi ha chiesto se avessi l’intenzione di tornare e mi ha dato alcuni consigli per la vita quotidiana a Bruxelles, cioè camminare molto a piedi. Comunque, non intendo tornare prima del previsto. Credo fortemente nel valore dell’esperienza Erasmus e non lo dico tanto per dire qualcosa, ma perché davvero lo sperimento ogni giorno. Per quanto la situazione sia critica, vedo con i miei occhi che la città si sta riprendendo“.
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