La città di Catania, lo sappiamo bene, offre sempre fantastiche opportunità da qualunque punto di vista (un esempio, il concreto di fine anno di cui avete letto qui), ma quando si parla di cultura e iniziative di progresso sociale, dà davvero il meglio di sé.
In questi giorni al centro dell’attenzione abbiamo le donne e la loro travagliata storia.
Si è aperta a Catania, nei suggestivi locali dell’ex Monastero dei Benedettini, la mostra/ progetto “Anche la cancellazione è violenza“, ideata dal gruppo femminista Le Voltapagina in occasione del 25 novembre, «Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne».
Le Voltapagina nascono, o meglio rinascono, come naturale conseguenza delle manifestazioni del 13 febbraio 2011, giornata di mobilitazione tutta al femminile per difendere la dignità di chi lavora, si impegna e si sacrifica per la famiglia, un momento magico, che ha lasciato percepire immense risorse di vitalità e creatività che il movimento delle donne ha mostrato di avere e con la dichiarata intenzione di voltar pagina e dar inizio ad un tempo nuovo. Sono un gruppo eterogeneo nato dall’incontro di tre generazioni di donne: dal femminismo storico anni ’70 e ’80 al post-femminismo, al neo- femminismo delle nuove generazioni.
Sono un gruppo di donne con età ed esperienze diverse che si confrontano animate dal medesimo desiderio di dire basta a questa interminabile deriva etica e culturale, a questo imbarbarimento inarrestabile del nostro paese. Un gruppo che dice basta alla passività di osservatrici lucide ed impotenti di fronte all’arretramento della condizione delle donne in tutti i campi. Una condizione per cui in passato il Movimento aveva appassionatamente lottato e vinto.
Nella Galleria del Museo della Fabbrica, da lunedì a sabato, dalle 10 alle 13, fino al 28 novembre, saranno esposti tanti volti di donna, i loro nomi e le loro storie. Sono scienziate, artiste, letterate, filosofe e politiche, italiane e straniere, donne che hanno dato un forte contributo alla nostra cultura e alla nostra società, ma delle quali non c’è memoria nei libri di testo, nei manuali, nella conoscenza condivisa. Cancellate dalla cultura maschile e maschilista. Una cancellazione che è, per molti, un atto di violenza vera e propria.
«Pensiamo – spiegano le promotrici della mostra/progetto che sarà portata anche nelle scuole superiori – che alla base della violenza fisica e psicologica contro le donne, e contro tutti i corpi femminilizzati, ci sia un modello culturale arcaico, fondato sulla sopraffazione di un genere sull’altro, che giustifica un’idea di amore come possesso, controllo e arbitrio». Di qui la scelta di dislocare lo sguardo dalla violenza fisica a quella culturale nella consapevolezza che anche la violenza fisica ha una valenza culturale, che nasce da un modello simbolico di dominio del più forte sul più debole.
«Questo – spiega la storica e femminista Emma Baeri – non significa ignorare la violenza sessuale, ma cercare di interpretare quello meccanismo millenario nel suo punto di evidenza che è l’asimmetria tra i sessi che si fonda sulla forza fisica e che ha origine nella volontà di controllo del potere generativo delle donne, nel dominio sul ventre femminile». Di qui l’idea di intervenire su questa «incivile eredità culturale costruendo un libro, ideale e necessario, che, pagina dopo pagina, racconta in breve la vita di alcune delle moltissime donne che hanno inventato, scoperto, progettato, scritto, ma il cui contributo, per diverse ragioni, è stato dimenticato.
Il nostro desiderio è che le vite e le opere di queste donne siano studiate a scuola, che i loro nomi siano inseriti nei manuali per trasmettere forza e valore alle ragazze, aumentandone la capacità di sottrarsi alla violenza, e per dare una misura civile all’ego dei ragazzi».
Non si tratta, continuano, di un’aggiunta, ma di modificare il punto di vista di una disciplina.
Ne è luminoso esempio Olympe de Gouges che, nel 1791, con la sua «Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine», reinterpretava e rimodellava i diritti universali, declinati come universali maschili, curvandoli alla presenza delle donne. Fu lei la prima a coniugare il diritto alla libertà – nella dichiarazione del 1789 intesa come libertà borghese e liberista di fare quello che si vuole pur di non nuocere agli altri – con il diritto alla giustizia. Una grande donna misconosciuta, come migliaia di altre, il cui contributo alla storia dell’umanità va riscoperto e riconosciuto per «costruire una società in cui ciascuna persona, di qualsiasi genere e orientamento sessuale, abbia pari valore e dignità, e trovi cittadinanza compiuta in tutte le fasi della vita».