Un amore di carta, l’intervista al suo autore Jean – Paul Didierlaurent

Chi nell’ultimo mese ha fatto un salto in libreria avrà sicuramente visto tra le novità “Un amore di carta” (edito da Rizzoli). Salta subito all’occhio il romanzo d’esordio di Jean – Paul Didierlaurent forse per il titolo e per l’accostamento dei colori in copertina o semplicemente perché il richiamo della cellulosa non lascia mai indifferenti i lettori.

Sia che sia chiamato con il suo titolo originario “Le liseur du 6h27” che con il titolo italiano “Un amore di carta” l’opera prima di Didierlaurent incanta a tal punto da fare del lettore quasi un terzo protagonista. Didierlaurent era già noto per i suoi racconti e per aver vinto, grazie alla bellezza di questi, due Prix Hemingway.

Il suo romanzo sembra quasi essere un “racconto nel racconto”. La storia che narra è stata definita “al quadrato”, perché si muove tra la voce di Guylain Vignolle e i fogli che salva ogni giorno dalla trituratrice i libri non venduti (mai nominata e definita con il termine “la Cosa”) e le parole scritte da Julliette, che ritrova per caso durante il suo tragitto quotidiano all’interno di una chiavetta USB contenente 72 file. Lettura e scrittura si incrociano avvicinando due persone che non si conoscono, ma non così distanti da non potersi incontrare. Sarà una corsa verso la scoperta, con la stessa velocità del treno che lo porta ogni giorno a lavoro, a far incontrare Guylain con Juliette.

Il romanzo è stato definito da Le Figaro “Una leggerezza e una poesia che ci confortano” e il suo autore ha accettato gentilmente e con grande disponibilità di raccontare a LiveUniCt l’immensità di sentimenti e la grande passione per la scrittura e la lettura che si nascondono dietro ogni parola, dietro ogni pagina regalata ai suoi lettori.

1. Il suo nome per anni, grazie anche alla vittoria del Prix Hemingway per ben due volte, è stato legato al genere del racconto. Quanto è stato difficile allontanarsi dalla forma breve per dedicarsi alla stesura di un romanzo? E quando si è sentito pronto per farlo?

«Il lavoro di brevità richiesto dalla scrittura di un racconto mi ha sempre affascinato. Questo conferisce un po’ del mestiere dell’orologiaio dando un valore a ogni parola. L’arte dello slogan pubblicitario è per me il must in questo settore. Amo questa idea di corsa, opposta alla corsa di fondo che è rappresentata dal romanzo. Anche la scrittura di un romanzo, dove ci si può permettere di prendere il tempo per collocare i propri scenari e personaggi, mi ha donato le vertigini. C’era questo golfo, le sue centinaia di pagine che dovevo riempire. Infine, non ho realmente cambiato il mio modo di lavorare per scrivere Le Liseur. Ho composto qualche capitolo, uno dopo l’altro, come un racconto senza guardare lontano anche se, sicuramente, il mio piano era più o meno tracciato dall’inizio. Ho attraversato l’abisso senza mai contemplare il vuoto, ma fissando la mia attenzione su ogni nuovo passo da effettuare per andare avanti».

2. Qual è stato il momento in cui ha capito che la storia che lo avrebbe consacrato a un nuovo genere letterario era quella di Guylain Vignolles e Julie?

«Nuovo genere letterario, questo sarebbe presuntuoso da parte mia. Non ho preso coscienza di questo in nessun istante durante la scrittura. Tantomeno che non avevo avuto la sensazione di aver scritto un racconto moderno o un Feel good book , fin quando non mi è stato fatto notare. Non c’è un’azione più solitaria che quella della scrittura. Voi siete là, a giocare con le vostre creature come un Dio onnipotente, a lanciare delle parole senza nemmeno sapere come atterreranno sul lettore. Si ignora allora totalmente come la propria storia sarà percepita. E poi arriva l’istante magico dove il libro incontra il suo pubblico. Allora si prende coscienza dell’impatto che il vostro romanzo può avere sul lettore. Questa è una cosa molto piacevole e un po’ terrificante».

3. La lettura sembrerebbe essere l’unico elemento che permette al suo protagonista di vivere “felice”. Secondo lei, nella quotidianità, la lettura quanto può salvare gli uomini dalla frenesia della routine?

«Precisamente è la lettura ad alta voce che permette a Guylain di non affondare. I venti minuti di lettura nel vagone rappresentano il solo momento della giornata dove è visibile agli occhi degli altri diventando “le liseur” . La lettura è in sé un eccellente mezzo per sfuggire alla quotidianità. Questo è uno dei pochi atti che permette di evadere senza muoversi. In questo, si, essa ha la capacità di portare l’ossigeno in una vita asfissiata dalla routine».

4. “La Cosa”, che distrugge ogni libro, possiamo paragonarla alla società attuale? E i libri che distrugge possono essere la metafora della mente umana?

«Per l’autore quale io sono, il pestello era soprattutto un pretesto per immergere Guylain Vignolles in un mondo lavorativo di sofferenza. Ho avuto un grande piacere nel fare de “La Cosa” un personaggi in sé, un mostro con degli uomini al suo servizio per nutrirlo continuamente. Noi possiamo vedere molti simboli nel pestello e nel suo lavoro di distruzione di massa. La società di fronte all’individuo, l’apparire e l’essere politicamente corretti che tendono a plasmarci allo stesso modo. Ma nel suo atto di resistenza, per quanto piccolo possa essere, Guylain indossa l’abito di Davide contro Golia e ci lascia sperare nella vittoria dello spirito sulla materia».

5. Si rivede in Guylain Vignolles o condivide con lui qualche esperienza vissuta?

«Con Guylain potrei condividere la sofferenza del lavoro, cosa che io ho conosciuto come lui, ma per poco tempo e non nella sua misura. Julie mi sarebbe più vicina, pensandoci bene. La sua differenza tra la funzione e la persona mi tocca molto. Per molti anni ho lavorato in un call center. Un lavoro ripetitivo e opprimente che non mi ha impedito di scrivere, ma tutt’altro. Durante la consegna dei premi del concorso di racconti, spesso, le persone erano sorprese nello scoprire la mia professione ed erano convinte che qualcuno che scrive è sempre stato nel mondo delle lettere o dell’insegnamento e non un semplice receptionist. Se c’è una cosa che io ho a cuore di dimostrare ne “Le Liseur” è che l’abito non deve mai fare il monaco».

6. La sua prossima opera, un racconto o un romanzo?

«L’uscita di una raccolta di racconti è prevista per settembre 2015. Un bouquet di undici testi, undici personaggi per undici destini, che avevo a cuore di mostrare ai lettori perché scoprissero il mio universo di racconti. E poi mi appresto nei primi di maggio alla scrittura di un secondo romanzo, sperando di provare lo stesso piacere avuto mentre scrivevo Le liseur. A seguire…».

Al seguente link è possibile leggere l’intervista in lingua originale con Jean – Paul Didierlaurent.

Agrippina Alessandra Novella

Classe '92 . “Caffè, libri e tetris di parole”, ha definito la vita così, perché sono queste le tre cose che non devono mai mancarle. Legge da quando ha scoperto che i libri le fanno vivere più vite e sin da piccola scrive ovunque, perché le cose quando si scrivono rimangono. Cresciuta a Mineo è rimasta affascinata dagli scrittori che ivi hanno avuto i natali: Paolo Maura, Luigi Capuana e Giuseppe Bonaviri. Laureata in Lettere Classiche, presso l’Università di Catania, attualmente studia Italianistica all'Alma Mater di Bologna. Redattrice e proofreader per LiveUniCT e membro FAI.

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Agrippina Alessandra Novella

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