«Io speriamo che me la cavo»: quando lo studio ha bisogno della fortuna

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La sessione estiva è quell’apostrofo rosa tra la soporifera primavera e il malinconico autunno. È come il trillo della sveglia, che suona implacabile all’alba di una domenica mattina. Speravi di aver chiuso con le tue ansiose notti prima degli esami, pensavi che, finito il liceo, avresti affrontato con serenità le numerose prove a cui ti avrebbe sottoposto l’università, i numerosi esami che la tua carriera avrebbe profilato.

Adesso sai che non è così. Sai che la tua sveglia accorcerà drasticamente le tue notti prima degli esami, sai che l’equazione studio-esame non necessariamente darà il risultato sperato. Lo studente in genere sa che lo studio, se non accompagnato da un pizzico di fortuna, è acefalo, e cercherà inevitabilmente il conforto in un oggetto magari consunto, in una t-shirt segnata dal tempo, in un bracciale di poco valore, reliquie insomma alle quali affidare le sorti della propria performance e, forse, in quell’oggetto che trascina all’esame, cercherà anche un capro espiatorio contro il quale inveire se l’esame, uno di un lunga serie, non darà l’esito sperato.

“Gli esami non finiscono mai”, titolava così una commedia di Eduardo De Filippo. E gli esami, con le conseguenze emotive che comportano, purtoppo, non finiscono davvero mai. Come bisogna dunque fronteggiarli? Sempre Eduardo De Filippo, da buon napoletano, affermava che «essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male». Gli studenti, diversi per ateneo, facoltà e inclinazioni, abbracciano in massa questo pensiero, rendendolo quasi un mantra da ripetere in prossimità dell’appello e realizzando rituali sempre identici da attuare in vista dell’esame. Non azzardatevi, però, a definire scaramantico il vostro amico, il vostro collega, il vostro conoscente studente che, alla viglia dell’esame, mangerà la stessa pietanza ingurgitata prima dello scorso esame, quello in cui ha ricevuto un bel 30. ”Io scaramantico? No, assolutamente no” –  vi dirà e intanto accarezzerà il corno rosso che tiene in tasca ed eviterà accuratamente le scale e gli specchi per paura che possano frantumarsi all’istante. Qualcuno prometterà a se stesso di non aprire il libro prima dell’esame e, poi, puntualmente si ritroverà a spulciare le pagine in cerca di quel paragrafo che non ricorda mai. Qualcuno si affiderà ai suggerimenti di Paolo Fox, un altro ascolterà la canzone ”portafortuna”, qualcuno addirittura indosserà abiti particolarmente datati, testati durante un esame lodevole. Ogni studente sperimenta autonomamente i propri rituali, credendo spesso di essere un caso isolato (e disperato).

In realtà, non è così. Sono moltissime le leggende metropolitane che circolano all’interno degli atenei italiani e tutte sembrano riporre una fiducia cieca nella Dea bendata.

Gli universitari bolognesi, allievi della Dotta, non credono affatto che la superstizione interessi esclusivamente gli ignoranti ed, evitando accuratamente di portare in visita amici e parenti sulla celebre Torre degli Asinelli, rispettano di fatto il veto che vige nel capoluogo emiliano. Lo studente reo rischierebbe di non laurearsi mai. Stessa sorte toccherebbe agli universitari di Pisa, che dovrebbero, per le stesse ragioni, evitare di salire sul campanile della rinomata torre pendente. Vietato l’accesso ad un simbolo della città che li ospita anche agli universitari torinesi, che, dovrebbero quindi evitare di accedere alla Mole Antonelliana. E Roma, culla del sapere, non sfata affatto questi miti. La leggenda vuole che le matricole dell’Università Cattolica corrano a far piegare il libretto a fisarmonica da un collega già laureato, mentre La Sapienza, in barba al suo nome, assiste ad un rito che vieta agli aspiranti dottori di guardare negli occhi la statua di Minerva. In entrambi i casi si rischierebbe di essere condannati allo status di studenti a tempo indeterminato. Identico il destino che toccherebbe agli universitari napoletani, i quali dovrebbero cercare  di eludere la visita alla scultura del Cristo velato di Giuseppe Sanmartino. Sono superstizioni, che, evidentemente, non conoscono limiti geografici e che interessano interamente gli atenei del Belpaese, da nord a sud. Anche l’Università di Catania versa il suo tributo scaramantico. In particolar modo, gli studenti di giurisprudenza dell’ateneo catanese dovrebbero evitare di placare l’arsura attingendo alla fontanella che zampilla in Villa Cerami; dovrebbero, inoltre, scansare la ghiaia che attraversa la loro facoltà e astenersi dall’osservare il volto della statua del noto giurista Auletta, posta nei pressi dell’Aula Magna.

Essere superstiziosi sarà pure da ignoranti, ma, del resto, la laurea renderà dottori, non necessariamente dotti e se il rischio che comporta non essere superstiziosi è quello di rimanere inchiodati  all’eterna condizione di studenti, beh, allora gli universitari saranno ben lieti di riconoscere la loro ignoranza.

Clelia Incorvaia

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Clelia Incorvaia

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