Perché hai scelto di continuare i tuoi studi all’estero?
Quando lavoravo a Catania mi sentivo limitato in molte cose. Avevo l’esigenza di confrontarmi con gente che la pensasse un po’ più come me e di vedere che cosa facessero dall’altra parte del mondo. Studiare all’estero mi ha permesso di imparare molto sia dal punto di vista sociale che dal punto di vista lavorativo.
In seguito cosa è successo?
Dopo un anno trascorso a New York sono tornato in Italia per difendere la tesi di dottorato. In seguito vinsi un post doc all’Università del Maryland e quindi tornai nuovamente negli Stati Uniti per altri tre anni circa. Nel 2006 ho vinto l’Horizon Computer World, il premio del miglior software degli Statu Uniti, per aver implementato un prototipo, progetto sviluppato in collaborazione con un mio professore e con il quale abbiamo fondato un’azienda. Ora sono in Italia ormai da cinque anni.
Come sei arrivato a vincere il Working Capital 2012, premio che ti ha permesso di farti conoscere a livello internazionale?
Mi chiesero di partecipare a un progetto europeo, Econet, che si basa sull’argomento su cui ho lavorato. In esso vi partecipano partner sia industriali che universitari provenienti da tutta Europa. È un progetto della durata di tre anni in cui ognuno contribuisce in diverso modo. Noi di Catania abbiamo lavorato su alcune parti di questo progetto focalizzandoci sul lato router . In particolare, l’anno scorso presentai al Working Capital di Telecomitalia un progetto sull’home gate, ovvero il router di casa. Il tutto in collaborazione con un esponente dell’Università di Genova e dell’Università di Catania. In palio c’erano venti premi da 25.000 euro per incentivare il mondo startup e la ricerca, e io sono stato tra questi 20 vincitori. Il seguito di questa grande soddisfazione però è poco felice, fatto di incomprensioni con alcuni collaboratori e di una concomitanza di eventi e di azioni che mi ha portato a interrompere la collaborazione con l’Università di Catania.
In breve:
Un po’ di tempo dopo aver vinto questo concorso andai nuovamente in America per un seminario, discutendo lavori non solo miei, ma anche di altri autori e presentando le nuove tecnologie che di lì a breve sarebbero potute essere implementate dai progettisti hardware . Tra le persone che mi ascoltavano c’era anche un editore di Science che rimase colpito e mi chiese se volevo scrivere una panoramica sull’argomento, in gergo tecnico perspective. Mi disse che i perspectives potevano avere massimo due autori ma l’editore mi consigliò di farlo da solo per due motivi: sia perché lo avevo colpito, sia perché ero precario, non avevo un lavoro, ero un giovane e avevo dato il mio contributo in America per diversi anni. In quel momento ho pensato che una cosa del genere nella mia vita non mi sarebbe mai più capitata, ma sapevo anche che in questo progetto di cui faccio parte ero uno degli ultimi arrivati e questo poteva essere considerato come “uno scavalcare” gli altri. Feci presente i miei dubbi all’editore, dicendo che il progetto era europeo e che i fautori dello stesso erano altri. Venni tranquillizzato perché voleva semplicemente che scrivessi questo perspective e, come mi disse, avevo tutte le carte in regola per farlo poiché il mio curriculum era valido e quindi accettai la proposta. Nonostante avessi avvisato il mio referente, alcuni collaboratori di questo progetto europeo non presero bene la mia pubblicazione e si arrabbiarono con lui che di riflesso si arrabbiò con me, nonostante le precedenti congratulazioni. Non mi sarei mai immaginato una reazione del genere. Ma prendo coscienza di questo e mi assumo le mie responsabilità.
Potresti riassumere brevemente in cosa consiste brevemente il tuo progetto Green Home Gateway?
Si tratta di realizzare un router, tipo quelli che abbiamo a casa che ci servono per collegarci a internet, a risparmio energetico: ovvero, fare in modo che, ad esempio, quando il router non si sta utilizzando risparmia energia. La CPU del router andrebbe in uno stato di sleep ma la cosa interessante e importante è che un utente medio non si accorgerebbe della differenza poiché la qualità del servizio non sarebbe intaccata perché la tecnologia odierna cerca sempre di rispettare un certo livello di qualità. Ma ci sono altri metodi che si potrebbero usare: alcuni di questi sono già stati pubblicati, anche se non sono stati ancora implementati. Ma si continua a fare ricerca.
Ad esempio?
Alcuni di essi si basano sul protocollo TCP che è quello che comanda Internet. La sua invenzione risale a vent’ anni fa e in tutto questo tempo non ci sono state evoluzioni così il protocollo è rimasto sempre lo stesso. Però mentre Internet si evolve, il flusso dei dati aumenta e aumenta anche la domanda, dall’altra parte la rete, dal punto di vista protocollare, è rimasta sempre quella. Ora, ci sono nuove tecniche che riescono a centralizzare parti di rete in modo tale che si possano aggiornare questi protocolli. Il discorso è molto ampio e dettagliato ma il succo è che solo oggi si è capita l’importanza di aggiornare le reti e i protocolli, in poche parole le “ossa” di Internet.
Come giudichi la ricerca scientifica in Italia e quali differenze hai trovato all’estero?
C’è una grossa differenza tra l’Italia e gli Stati Uniti: lì c’è sempre un passaggio cruciale e fondamentale per lo sviluppo, ovvero i binomi di ricerca-implementazione, ricerca-business; qui in Italia non solo non c’è questo passaggio e molto spesso si fa ricerca solo per avere una pubblicazione, ma se qualcuno pubblica qualcosa, e in quanto tale può essere presa e studiata da chiunque, e un altro ancora la prende e la vuole implementare per farci del marketing, succede il finimondo per questioni di meritocrazia. Io penso che la ricerca serva per fare dei passi in avanti e nel settore della ricerca pura e dal punto di vista del marketing. Se non ci fosse business sulla ricerca, nessuno farebbe pubblicazioni perché non servirebbe a nulla. Invece no, ci deve essere parte della ricerca che viene vista dalle aziende.
Pensi che questo possa essere dovuto a una visione vecchia e stagnate della ricerca nostrana?
Il problema di fondo è che noi italiani non accettiamo le sfide e le competizioni, specie nel settore pubblico. Ti faccio un esempio: in America quasi tutti i professori hanno una loro azienda, ma questo non vuol dire necessariamente che sia sua e che ci lavori; viene fondata e crea posti di lavoro, ma il professore continua a svolgere il suo ruolo di insegnante non percependo stipendio altro perché ha già un contratto con l’Università. D’altro canto all’Università conviene una cosa del genere perché è comunque fonte di prestigio. Se infatti arrivasse una grosso nome internazionale e volesse comprare l’azienda offrendo un contratto a tutti i dipendenti che ci lavorano, durante quel periodo il professore si metterebbe in aspettativa, lavorerebbe per questa azienda e poi ritornerebbe a fare il professore. E questa è una cosa che non solo viene vista in maniera positiva, ma viene anche incoraggiata perché fonte di prestigio per l’Università da cui proviene il professore. Questo in Italia non potrebbe avvenire, perché si creerebbero troppi problemi all’interno degli Atenei.
Come la vedi la situazione da qui a qualche anno per i ricercatori italiani e in particolare siciliani?
In questo momento non sono in grado di dare una risposta positiva. Sono rientrato dall’America, ho vinto il premio Marie Curie, ho vinto il Best Research Award, ho vinto il Working Capital, ho portato circa 200.000 euro all’Università di Catania e ne ho porto in alto il nome..e che succede? Che mi mettono nelle condizioni per far si che io me ne vada.
Come viene vista all’estero la figura del ricercatore italiano?
In America ci vedono male. Sanno come funzionano le cose da noi, sanno della nostra politica, sanno che ancora non abbiamo un governo, insomma abbiamo un’immagine che non è delle più belle. E tutto questo, secondo me, si ripercuote nella crisi e nella scarsa fiducia degli investitori.
Per quanto tempo ancora rimarrai qua in Italia prima di fare veramente le valigie e partire? E quali sono i tuoi progetti a breve e lungo termine?
Non saprei, ancora sono un po’ scombussolato, ma partirò presto. Per ora vorrei ritrovare la serenità e nel frattempo fare qualcosa per un’azienda italiana di cui sono cofondatore. In particolare, noi prepariamo bandi e progetti sperando che l’Unione Europea ce li finanzi in modo da avere un impiego per qualche anno.
Vuoi dire qualcosa o lanciare un messaggio a tutti i giovani ricercatori e agli studenti che ancora non hanno raggiunto il traguardo della laurea?
Il privato è l’unico futuro possibile che vedo per l’Italia. Se siete figli di gente conosciuta e importante, sfruttate le conoscenze. Se non siete figli di nessuno, aprite la vostra attività privata, quello che avete studiato sfruttatelo..tutto questo se volete restare in Italia. Se volete viaggiare allora è tutto più semplice.
A nome di tutta la redazione di LiveUnict ringraziamo Diego Reforgiato per la sua disponibilità augurandogli nuovi successi in campo scientifico.
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