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Stipendi detassati fino a 33mila euro: cosa cambia nel 2026

La manovra 2026 punta a detassare gli aumenti salariali fino a 33mila euro. Chi guadagna di più in busta paga e cosa cambia davvero.

Stipendi detassati fino a 33mila euro: ecco cosa cambia con la manovra 2026. Un aumento in busta paga che non viene “mangiato” dalle tasse: per molti lavoratori italiani potrebbe non essere più solo una speranza.

Nelle pieghe della manovra di bilancio 2026, attualmente all’esame del Senato, emerge una proposta destinata ad avere un impatto concreto sul potere d’acquisto di chi lavora, soprattutto dopo anni di inflazione e rinnovi contrattuali spesso deludenti.

L’obiettivo è chiaro: detassare al 5% gli aumenti salariali derivanti dai contratti collettivi, ampliando la platea dei beneficiari fino a chi guadagna 33mila euro lordi annui.

Detassazione degli aumenti: cosa prevede la proposta

Il cuore della misura è un subemendamento presentato in Senato da Fratelli d’Italia e Lega, annunciato dalla ministra del Lavoro Marina Calderone e dal sottosegretario Claudio Durigon. La proposta mira a estendere la tassazione agevolata al 5% sugli incrementi retributivi anche ai contratti collettivi rinnovati nel 2024, con effetti a partire dal 1° gennaio 2026.
Fino ad oggi, il beneficio era limitato ai lavoratori con redditi fino a 28mila euro: una soglia che lasciava fuori una parte consistente del ceto medio. L’innalzamento a 33mila euro rappresenta quindi un cambio di passo significativo, soprattutto per chi ha ottenuto aumenti salariali che, nella pratica, sono stati in gran parte erosi dall’Irpef e dalle addizionali.

Chi guadagna davvero di più in busta paga

Se approvata, la misura potrebbe tradursi in qualche centinaio di euro in più all’anno per molti lavoratori dipendenti. Non si tratta di un taglio generalizzato delle tasse, ma di un intervento mirato: la detassazione riguarda solo la quota di aumento legata ai rinnovi contrattuali, non l’intero stipendio.
A beneficiarne sarebbero in particolare i dipendenti dei settori che hanno rinnovato o rinnoveranno i contratti nazionali dopo anni di blocco, come sanità, commercio, logistica, metalmeccanico e pubblico impiego. Un segnale che punta a premiare la contrattazione collettiva, incentivando accordi salariali strutturati anziché bonus una tantum.

Un segnale politico al lavoro e ai sindacati

Dal punto di vista politico, l’emendamento viene presentato come una risposta concreta alle difficoltà dei lavoratori in un contesto di caro vita persistente. Calderone e Durigon parlano di “risultato straordinario”, sottolineando l’impegno del governo Meloni nel sostenere il lavoro dipendente.
Ma il dibattito resta aperto: sindacati e opposizioni chiedono interventi più strutturali sul cuneo fiscale, mentre alcuni economisti avvertono che misure temporanee rischiano di non incidere nel lungo periodo. Resta però il fatto che vedere riconosciuto fiscalmente un aumento contrattuale è un tema sensibile, soprattutto per una generazione che fatica a vedere crescere stipendi e prospettive.

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