Il Ministero dell’Istruzione ha recentemente pubblicato il rapporto intitolato “Risultati a distanza: inserimento nel mondo del lavoro dei diplomati“, un’analisi dettagliata che offre una panoramica sull’inserimento lavorativo dei giovani diplomati tra gli anni scolastici 2016/2017 e 2021/2022.
Lo studio ha monitorato i contratti di lavoro stipulati dai diplomati a partire dal 1° agosto dell’anno in cui hanno conseguito il titolo, seguendo i loro percorsi lavorativi per un periodo di due anni. L’obiettivo principale è stato valutare l’effettiva occupabilità dei giovani italiani, con un focus specifico sulle differenze regionali e geografiche.
Secondo i dati raccolti, mediamente il 44% dei diplomati ha registrato almeno un rapporto di lavoro attraverso le Comunicazioni Obbligatorie, che costituiscono il sistema di monitoraggio dei contratti lavorativi. Tuttavia, emergono forti differenze a seconda dell’indirizzo di studio e dell’area geografica, evidenziando un divario significativo tra Nord e Sud del Paese.
L’analisi ha evidenziato che i diplomati provenienti dagli indirizzi di studio professionali sono quelli che maggiormente riescono a inserirsi nel mercato del lavoro nei due anni successivi al conseguimento del titolo. Ciò è particolarmente vero per le regioni settentrionali, dove la rete produttiva e industriale offre maggiori opportunità in termini di apprendistato e contratti specifici per giovani diplomati. Al contrario, nel Mezzogiorno, questa dinamica si mostra molto meno incisiva, con percentuali sensibilmente più basse di occupazione.
In generale, su una media nazionale di occupabilità pari al 51%, il 63% dei contratti attivati riguarda diplomati residenti al Nord. Questo dato è il risultato di un tessuto produttivo maggiormente sviluppato e di una domanda di lavoro più stabile. Di contro, il Sud e le Isole si fermano a una media del 43%, evidenziando una cronica difficoltà nel trattenere i giovani talenti e integrarli nelle attività produttive locali.
Lo studio condotto a livello regionale mette in luce dati preoccupanti per le regioni meridionali. La Sicilia, ad esempio, registra un tasso di occupazione post-diploma del 37,3%, uno dei più bassi d’Italia, mentre la Calabria si attesta al 38,4%. Questi numeri, se confrontati con quelli delle regioni settentrionali, come Lombardia o Emilia-Romagna, dove il tasso supera abbondantemente il 60%, rivelano l’ampiezza del divario geografico.
Le cause di queste difficoltà sono molteplici: il tessuto produttivo del Sud, meno sviluppato e meno diversificato rispetto a quello del Nord, offre limitate possibilità di impiego, soprattutto per i giovani diplomati. A ciò si aggiunge il fenomeno tristemente noto come “fuga di cervelli”: molti giovani scelgono di trasferirsi al Nord o all’estero alla ricerca di condizioni lavorative migliori, contribuendo così alla carenza di forza lavoro qualificata nelle regioni meridionali.
La scarsa occupabilità dei giovani diplomati al Sud rappresenta una sfida urgente per il Paese. Investire nel tessuto produttivo delle regioni meridionali, potenziando l’industria locale e promuovendo politiche attive del lavoro, potrebbe rappresentare un primo passo per ridurre questo divario. Inoltre, è fondamentale incentivare programmi di formazione professionale mirati, in grado di rispondere alle specifiche esigenze dei territori.
L’obiettivo deve essere quello di creare opportunità di lavoro stabili e ben retribuite, che possano trattenere i giovani talenti nelle loro terre d’origine e contribuire allo sviluppo economico del Mezzogiorno. Il successo del Sud non riguarda solo le regioni meridionali, ma l’intero Paese, che ha bisogno di una crescita uniforme e sostenibile.
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