La cantautrice Maria Antonietta si è esibita ieri sera a Catania: tra poesia, misticismo, storia e cinema la cantante ha cantato la sua storia davanti al pubblico.
Ieri si è compiuto quello che Maria Antonietta ha definito “mistero”: l’instaurarsi di un legame tra l’artista e il suo pubblico senza il bisogno di conoscersi, conoscersi nella vita reale, conoscersi come individui, e tuttavia essere come speciali confidenti, riuscire ad elevarsi oltre il proprio io, oltre la realtà, e raggiungere insieme una dimensione superiore, quella dell’arte, lì incontrarsi, unirsi o riunirsi.
“È il bello di questo ‘mestiere’, si dice così, ‘mestiere’, no?”, ci chiede la cantautrice dal palco: condividere solo la parte migliore di sé, il bello, perché tutto quel che c’è di brutto, di cattivo, di egoista, di doloroso, si è già misteriosamente trasformato, quasi chimicamente tramutato, è stato già sublimato in arte e dall’arte.
L’arte di Maria Antonietta è sfaccettata, prismatica come il suo immaginario che si nutre di poesia, misticismo, storia e cinema, diversi mondi che si riversano in un unico universo, il suo; e dal suo mondo altro canta e rivendica, in questo mondo, le sue vastità, le sue moltitudini, direbbe Whitman, non racchiudibili in una linea di contorno che limita, definisce, circoscrive e fa della donna una sagoma. Da quella sagoma Maria Antonietta esce e sembra che una bambola, non più muta, non più immobile, dai capelli rossi, con calze bianche di pizzo, ballerine glitterate, fiocchi e anelli di diamanti, prenda vita, prenda la parola, afferri carta e penna e poi una chitarra elettrica ed un microfono. Rivendica così la sua bellezza non convenzionale mai disgiunta dalla sua intelligenza (in Ossa canta: “sono bella / sono anche intelligente”), rivendica la possibilità che queste convivano nella stessa persona come convivono anima e corpo, come lo spirito si fa carne, e questo Maria Antonietta lo ha imparato sulla propria pelle.
Esplora e canta una femminilità ricca di sfumature, dal rosa al blu elettrico, dal grigio al nero, tanti quanti sono i sentimenti provati, non solo l’amore ma anche l’odio, il disprezzo, il perdono e la vendetta, ma è una vendetta impassibile ed elegante che consiste nel costruire una propria cattedrale e da lì non sentire chi vuole parlarci per farci male.
Un modo di essere, bambina, ragazza, donna, e di esistere, mai univoco, che non genera stereotipi di genere né automatismi, bensì li abbatte. Un “moltiplicarsi di specchi”, una “pericolosa contraddittorietà” e infine una “complessità semplice”: queste sono le parole usate da Maria Antonietta per descrivere se stessa e la sua musica. Proprio la musica rende più accessibile a noi il suo mondo, più esplicabile la sua natura ossimorica, più leggere le parole, senza mai ridurne il peso specifico e la complessità, del resto si definisce una “partigiana della complessità”, giacché è questa “la vera forma di tutto ciò che è vivo e vitale”.
Gli stereotipi che manda al rogo o alla ghigliottina sono tutti quelli nei quali è stata da sempre rinchiusa l’altra, la prima Maria Antonietta, la sovrana di Francia ghigliottinata insieme a tutto l’Ancien Régime. Le prime parole che Google associa al suo nome sono, curiosamente, “amante”, “ghigliottina”, “curiosità” e sono eloquenti. Solo pettegolezzi, curiosità su tradimenti, leggende e falsi storici costruiti ad hoc per una perfetta damnatio memoriae, gravitano intorno a figure di donne legate a personaggi storici della statura di un re, Luigi XVI. E ancora si legge: “frivola”, “spendacciona”, “pessima sovrana”. La nostra Maria Antonietta non sembra però lasciarsi intimorire da questi cliché, tanto da scegliere il nome della regina delle brioches per farne un alter-ego e recitare quella parte che tutti si aspettano da lei, che tutti trovano rassicurante (in Viale Regina Margherita canta: “Ma qui nessuno finge bene quanto me. / Lo devo alla mia buona educazione), per poi mostrarsi diversa, deludere tutti, sottrarsi al peso delle aspettative altrui, rivendicare se stessa e il diritto (e non il privilegio) di avere propri desideri, di poter essere Maria Antonietta, l’ “amante insaziabile” e Giovanna d’Arco, “la pulzella d’Orleans”.
Io non ho intenzione di deluderti
Ma questa è la mia faccia
La mia fiducia non intatta
Un vago senso di presenza eterna
E se non mi amerai, avrai i tuoi pensieri
Anche io ho i miei, non te li dico mai.
[…]
Comunque io non ho intenzione di deluderti
Ma questa è la mia festa.
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