Pensioni minime: nonostante fosse stato già emanato per gennaio, l'aumento non è ancora arrivato nelle tasche dei beneficiari. Ecco tutte le informazioni a riguardi e le varie ipotesi di emissione.
Pensioni minime: sono circa 2 milioni, i percettori di pensione che ad oggi ricevono un importo minimo, nonostante i diversi disegni legge degli scorsi mesi, non si è verificata alcuna variazione. Si prospetta però uno sblocco definitivo, per questa estate 2023.
Il piano inerente all’aumento delle pensioni minime è stato da sempre strettamente collegato a Silvio Berlusconi, come uno dei punti del programma di Forza Italia. Infatti, non è una casualità che quest’ultimo sia stato inserito, nelle risoluzioni di maggioranza con cui è stato approvato il Documento di economia e finanza. Nonostante sia in vigore già da gennaio 2023, la legge che aumenta gli assegni con gli importi più bassi, per il momento ancora non si è vista effettivamente per gli interessati alcuna variazione, dopo 5 mesi.
A fine anno, nel 2022, l’idea era quella di arrivare alla cifra tonda di 600 euro, un obiettivo simbolico-politico che doveva essere un inizio per poi arrivare a quella ben più ambiziosa dei mille euro, esposta molte volte dallo stesso Berlusconi. Per arrivare ai 600 euro, il meccanismo non è complicato, infatti, per gli assegni inferiori o uguali al trattamento minimo Inps è prevista una maggiorazione dell’1,5 per cento nel 2023, che diventa più sostanziosa (6,4%) per i beneficiari con più di 75 anni.
Per loro, ovvero, coloro che si trovano in quella fascia di età percepiscono già l’importo minimo, l’obiettivo 600 euro verrebbe così raggiunto: per la precisione si passerebbe dai 563,74 euro al mese fissati per il 2023 a 599,82.
La norma stabilisce una ripartenza da zero a partire dal 2024, ovvero, cancellato il precedente aumento, ne verrebbe applicato uno del 2,7% ai pensionati di tutte le età, con riferimento al nuovo importo del trattamento minimo Inps, ancora in fase di definizione. Però, con l’aggiunta che, per l’anno ancora successivo si tornerebbe di nuovo al punto di partenza, con la decadenza di tutte le maggiorazioni.
Si parla però comunque di un programma “provvisorio” che quindi rientrerà a partire dal 2025. Processo che si può considerare parallelo e distaccato rispetto a quello di rivalutazione per l’inflazione di tutte le pensioni. Facendo degli esempi, quest’anno il tasso è stato fissato al 7,3%, mentre nel 2024 dovrebbe aggirarsi sul 5,5%.
Nonostante fosse tutto pronto, il motivo sostanziale per cui non è partito il tutto è stata la fretta con cui è stata redatta la norma, visto che non è stata adattata alla platea di pensionati, che conta più di due milioni di persone. Ad oggi ancora alcuni assegni sono considerati bassi, perché per ottenere l’integrazione è necessario non superare una certa soglia di reddito complessivo. Esistono infatti ad esempio, i cosiddetti gli assegni “cristallizzati” al di sotto del minimo, facendo un esempio pratico quando ad una pensione diretta si aggiunge quella di reversibilità.
Già da i primi giorni di aprile l’Inps ha diffuso una circolare con i criteri di massima per l’applicazione della norma, ma l’effettivo via libera agli aumenti è stato rinviato ad un successivo messaggio. Ma, data la particolare difficoltà della materia in oggetto d’esame è stato necessario approfondire ulteriormente il caso attraverso diversi contatti con il ministero del Lavoro, che ha permesso di definire i punti ancora in sospeso.
In base alle ipotesi, gli aumenti ufficialmente arriveranno con la rata di giugno o luglio, con i vari arretrati già dalla prima emissione. Secondo un bilancio dello Stato il costo previsto è di 480 milioni quest’anno e 379 nel 2024.
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