Lingua e parità di genere, a che punto siamo in Italia? Ecco le ultime istruzioni dell'Accademia della Crusca riguardo all'uso di schwa, asterischi e femminile.
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Lingua e parità di genere: quale “regola” seguire in Italia? Il tema dell’uguaglianza di genere è sempre più studiato a partire da diversi anni a questa parte, e di recente, in Italia si è iniziato anche a fare attenzione all’uso di un linguaggio che sia inclusivo. Infatti, sebbene la lotta ai comportamenti discriminatori sia attiva da diverso tempo, molto spesso è possibile discriminare anche attraverso le parole. E molte di queste espressioni e comportamenti linguistici “poco inclusivi” sono radicati proprio nel linguaggio quotidiano e nel lessico comune della lingua italiana.
A tal proposito, sono diverse le reazioni alla discriminazione che sono state messe in pratica in tutto il mondo e anche in Italia. Tuttavia, anche l’Accademia della Crusca si è esposta sul tema della lingua e parità di genere: ecco qual è il recente parere dei linguisti della Crusca in merito al linguaggio inclusivo in Italia.
Come riportato in apertura, la ricerca di forme linguistiche della lingua italiana che siano inclusive ha già prodotto delle opzioni in passato. Infatti, sono state proposte diverse soluzioni per la lingua scritta e parlata per utilizzare un italiano inclusivo. Per esempio, nella lingua scritta, soprattutto nel mondo del web, è diventato sempre più comune l’uso dell’asterisco al posto delle desinenze che definiscono il genere, in modo da evitare la caratterizzazione del termine.
Un’alternativa all’ipotesi dell’asterisco è quella dello schwa, un segno grafico il cui simbolo è il seguente: [ə]. Secondo l’Enciclopedia Treccani, lo schwa ha un adattamento italiano che corrisponde al termine “scevà” ed è una trascrizione tedesca dell’ebraico “shĕvā”, il cui significato è “nulla” o “zero”. Questo segno, proprio come l’asterisco è utilizzato al posto delle desinenze di genere per dare un senso neutro, così come il suo suono, dato che non si pronuncia.
Ma qual è il parere dell’Accademia della Crusca in merito al linguaggio inclusivo in Italia? Proprio pochi giorni fa, in seguito ad un quesito posto dal Comitato Pari Opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione riguardo la scrittura rispettosa della parità di genere, l’Accademia ha risposto con delle istruzioni all’uso del linguaggio inclusivo in Italia.
Nello specifico, la Crusca si è espressa in maniera contraria rispetto alle reduplicazioni retoriche, come nelle formule “lavoratori e lavoratrici, cittadini e cittadine, impiegati e impiegate”, preferendo delle forme neutre quali “persone, personale e dipendenti” e, se queste non dovessero esistere, preferire il maschile plurale “inclusivo”. Altro tema in merito al quale l’Accademia si è definita contraria è l’uso dell’articolo davanti ai cognomi di donne. Infatti, questa pratica comune è intesa come superflua e discriminatoria, e per far intendere che si parla di una donna basta aggiungere “il nome al cognome, o eventualmente la qualifica”, come in “La presenza di Maria Rossi” o “La presenza della testimone Rossi”.
In occasione del parere espresso dalla Crusca in merito al linguaggio giuridico, l’Accademia ha anche rigettato l’uso di “segni eterodossi” come asterisco e schwa, definiti “sperimentazioni innovative minoritarie” che non sarebbero utili nella lingua giuridica. “In una lingua come l’italiano – riporta l’Accademia della Crusca -, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare”.
Infine, sempre in funzione dell’inclusività, l’Accademia si è espressa favorevole all’uso del femminile per nomi di cariche e professioni, al cui uso “si deve far ricorso in modo sempre più esteso”. Questo è il caso di “magistrata, prefetta, avvocata, avvocata, medica, chirurga, marescialla” e ancora di “la presidente, la giudice, la consulente tecnica, questora, (sostituta) procuratrice, Pubblica Ministera”.
Chiaramente l’Italia non è l’unico Paese al mondo che sta fronteggiando la questione della lingua e della parità di genere. Infatti, opzioni di un linguaggio inclusivo che sia neutro sono valutate in diverse lingue, sebbene la presenza del genere neutro in un idioma possa rappresentare una valida alternativa. Tuttavia, esistono alcuni termini che sono “naturalmente” legati ad un genere: è il caso di tutte le parole che contengono “man” in inglese come “mailman, mankind, anchorman”. In tutti questi casi, da tempo si stanno cercando espressioni alternative che siano neutre come “mail carrier, humanity, anchorperson”.
E ancora, un caso particolare è quello del francese, dove sono state studiate diverse opzioni che includono sia il femminile che il maschile. Per esempio, aggiungendo delle parentesi contenenti la desinenza femminile, come nella parola “musicien(ne)”, o scrivendo la E in maiuscolo come in “motivéEs”. Infine, un altro modo è quello dell’uso del trattino o del punto tra la parola al maschile e la desinenza da aggiungere per rendere il femminile, come in “musicien-ne-s”, in modo tale da poter inglobare entrambi i generi in una sola parola.
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