Tra le varie forme di discriminazione di genere viene citato sempre più spesso il “mansplaining”: ecco di cosa si tratta, quali sono i casi in cui si verifica e quando sfocia in altre tipologie di discriminazione.
Indice
“Mansplaining” è una parola che viene utilizzata sempre più di frequente nel linguaggio di ogni giorno. Nello specifico, attraverso questo termine si indica un particolare fenomeno di discriminazione, che si verifica soprattutto tra interlocutori di sesso differente. Ma cos’è il “mansplaining” e come è possibile riconoscerlo?
Come anticipato, il “mansplaining” è un fenomeno che rientra nelle varie tipologie di discriminazione di genere. Il termine è impiegato per tutte le situazioni in cui un uomo assume un atteggiamento sapiente nei confronti di una donna, tentando di spiegarle un concetto nonostante l’esperienza elevata dell’interlocutrice in merito. La stessa composizione del neologismo permette di comprendere il significato principale del termine, dall’inglese “man” (uomo) e “splaining” (dal gerundio di “explain”, spiegare).
In aggiunta, è possibile racchiudere tra i casi di “mansplaining” anche le occasioni nelle quali un uomo utilizza un tono condiscendente e un linguaggio semplificato per illustrare un concetto ad un’interlocutrice donna, trasmettendo la propria sicurezza e la certezza che la donna alla quale si sta rivolgendo ne sappia meno di lui. Infatti, il termine deriva dal saggio della scrittrice statunitense Rebecca Solnit intitolato “Gli uomini mi spiegano le cose” (Men Explain Things To Me), nel quale Solnit ha raccontato un aneddoto personale avvenuto ad una festa, durante la quale un uomo la interruppe mentre stava parlando per consigliarle di leggere un libro che avrebbe potuto interessarla, senza però sapere che Solnit era l’autrice del libro al quale si riferiva.
A partire da quel momento, il termine conobbe una crescita d’uso esponenziale, utilizzato nei casi più o meno appropriati alla parola. Infine, nel 2010 “mansplaining” entrò tra le “parole dell’anno” definite dal New York Times, mentre nel 2014 fu inserito tra i lemmi del dizionario online Oxford.
Ma quando si verifica il “mansplaining”? Come anticipato, nel senso radicale del termine, si fa riferimento a tutte le situazioni in cui un uomo si rivolge con fare condiscendente e sapiente nei confronti di una donna per spiegarle qualcosa. Tuttavia, per completezza, è importante specificare che questo termine viene impiegato non solo nelle situazioni in cui vi è un uomo e un’interlocutrice. Infatti, si parla di “mansplaining” anche quando sono le donne ad avere un simile atteggiamento nei confronti di uomini o di altre donne, o ancora di uomini nei confronti di persone dello stesso sesso. Questo non ha però mutato il significato originale del termine, dato che esso fa riferimento ad un atteggiamento e comportamento che si rintraccia per lo più negli uomini, impiegato soprattutto nei confronti delle donne.
A tal proposito, un ulteriore elemento fondamentale del “mansplaining” è legato alla maggiore competenza sull’argomento oggetto di discussione da parte della persona che riceve spiegazioni non richieste, proprio come è avvenuto nel caso-simbolo di Rebecca Solnit. E ancora, a prescindere dal coinvolgimento di un uomo e una donna nel discorso, il “mansplaining” si può riconoscere in tutti quei casi in cui si verificano costanti interruzioni per suggerimenti non richiesti durante una discussione o quando qualcuno utilizza un tono di voce più alto per imporre la propria autorevolezza.
Infine, è importante sottolineare che il “mansplaining” si è evoluto in diverse forme, riferendosi a casi di spiegazioni condiscendenti nei confronti di persone più giovani o, nell’ambito del razzismo, al “whitesplaining”, indicando le situazioni in cui le persone di colore ricevono un simile atteggiamento da parte di soggetti bianchi.
Tornando all’origine del termine, il “mansplaining” fa riferimento ad una tipologia di discriminazione di genere. Ma qual è la situazione in Italia riguardo la parità di genere? Secondo quanto riportato dall’EIGE, European Institute for Gender Equality, per l’Italia c’è ancora da lavorare su questo argomento.
Infatti, come riportato nel Gender Equality Index, indice che analizza il livello di parità di genere nei paesi dell’Unione Europea assegnando loro un punteggio da 0 a 100, con il valore maggiore che indica una piena uguaglianza tra uomini e donne nel Paese analizzato, l’Italia ha ottenuto un punteggio di 65 per il 2022. A rapporto, la media UE è di 68.6, con una top 3 che presenta la Svezia al primo posto con 83.9, seguita da Danimarca (77.8) e Paesi Bassi (77.3) e le ultime tre posizioni occupate da Grecia (53.4), Romania (53.7) e Ungheria con 54.2 di punteggio finale.
I criteri analizzati nell’indice sono i seguenti:
Per quanto riguarda l’Italia, il valore più basso ottenuto è quello del “Potere”, in cui il Belpaese ha ottenuto un punteggio pari a 56.9 indicando uno scarso livello di parità di genere nelle posizioni di rilievo nella sfera economica, politica e sociale. Seguono gli indici di “Tempo” e “Conoscenza”, rispettivamente con un punteggio di 59.3 e 59.5 con i quali si fa riferimento al tempo speso per i lavori domestici e per le attività sociali e alla parità nel campo dell’educazione.
Di seguito, tra i tre settori nei quali l’Italia ha ottenuto i punteggi più alti è presente quello del “Lavoro” (63.2), il quale fa riferimento alla parità di opportunità di impiego e di buone condizioni lavorative tra uomini e donne, anche se il punteggio non può considerarsi tra i più alti. Infine, i punteggi maggiori ottenuti dall’Italia sono quelli di 80.5 per la “Disponibilità economica” e 89 per la “Salute”, facendo riferimento rispettivamente alla situazione economica di donne in Italia in rapporto agli uomini e, per quanto riguarda il criterio con il valore più alto, si tiene conto dello stato di salute, dell’indice di salute e delle possibilità di accesso ai servizi sanitari da parte delle donne in Italia. Tuttavia, è importante puntualizzare come nessun valore raggiunga il livello 100, a riprova della necessità di lavorare a fondo per ottenere una effettiva parità di genere in Italia, anche combattendo fenomeni discriminatori quali lo stesso “mansplaining”.
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