Secondo la classifica Numbeo, Catania è la prima città dell'Europa del Sud per indice di criminalità: ma come vengono raccolti questi dati? Ne abbiamo parlato con Valeria Scalia, docente di criminologia presso il Dipartimento di Giurisprudenza.
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Secondo la classifica Numbeo, la città di Catania ha un indice di criminalità pari al 63,51% e questo dato porta il capoluogo etneo ad essere la quarta città più pericolosa d’Europa. Inoltre, Catania risulta essere anche la città col più alto indice di criminalità dell’Europa del sud.
La città, in questo momento, sta vivendo una situazione tutt’altro che serena, ma la questione è davvero così drammatica? I dati presi in considerazione hanno una valenza importante? Come vengono raccolti? Per farci un’idea più chiara, ai microfoni di LiveUnict è intervenuta Valeria Scalia, professoressa di Diritto Penale e di Criminologia presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania.
Come anticipato, secondo la classifica Numbeo, Catania ha un indice di criminalità pari al 63,51%. Ciò significa che negli ultimi tre anni c’è stato un incremento dell’indice di criminalità, pari al 69,89%. Altro dato preoccupante riguarda la corruzione e la concessione: quest’ultimo dato ha un indice del 84,71 %. Inoltre, il 75,85 % della popolazione teme di subire atti di vandalismo e furti. Di conseguenza, l’indice di sicurezza presso il capoluogo etneo è bassissimo: infatti, è solo del 35,50 %.
Valeria Scalia, docente di Criminologia e di Diritto Penale cerca di fare chiarezza sui dati raccolti: “Dalle informazioni reperite online, la raccolta dati con cui è stata realizzata la graduatoria presente avviene mediante la somministrazione di questionari a un ampio parco di soggetti, che però non vengono selezionati con un criterio specifico“. Inoltre, va specificato che: “L’appartenenza a certe categorie sociali, culturali, geografiche, etniche, o differenziate sulla base di età, sesso, opinioni politiche o religiose, possono condizionare le risposte date all’interno del questionario”.
Si cerca quindi di informare la raccolta dei dati ad un metodo democratico, ma il rischio è quello di trovare un certo deficit nelle competenze dei soggetti. Nonostante ciò, la professoressa Scalia prosegue dicendo che: “Questi metodi relativi ai tassi di criminalità, sono utili per colmare alcune lacune presenti nelle statistiche ufficiali delle agenzie del controllo formale e per ridurre il campo oscuro, che può derivare tra l’altro da una bassa propensione alla denuncia in certi Paesi, ciò avviene per motivi culturali, sociali ed ambientali specifici”.
“In alcuni Paesi – sottolinea la professoressa – tale tendenza a non denunciare certi crimini può essere la conseguenza, ad esempio di forte radicamento della criminalità organizzata”.
Bisogna considerare con maggiore attenzione i tassi di criminalità, emergenti da tali rilevazioni, per due motivi: “I tassi di criminalità spesso si basano su percezioni soggettive che variano da un soggetto all’altro. Tra l’altro queste percezioni spesso possono essere pilotate dalle narrazioni dei mass media, che hanno un modo particolare di raccontare i crimini ed i reati. Questi dati, poi non dicono nulla in merito ad altre forme di criminalità, analogamente dannose e pericolose e di natura maggiormente subdola, che non vengono adeguatamente percepite o narrate dall’opinione pubblica”.
Ciò significa che i tassi di criminalità, così rilevati, andrebbero letti integrandoli e combinandoli con le statistiche ufficiali pubblicate dalle agenzie del controllo formale:, valutando attentamente eventuali disallineamenti tra i dati emergenti. Secondo la professoressa Scalia, la lettura semplificata di certi dati può portare a: “Creare degli ostacoli per le future politiche integrate, che invece devono rappresentare una soluzione contro la ogni forma di criminalità”.
Negli ultimi tre anni, è avvenuta una crescita esponenziale del tasso di criminalità. Secondo la docente: “Con la diffusione del Covid-19, è avvenuto un significativo aggravamento delle situazioni di disagio socio-economico, culturale ed esistenziale delle persone su scala nazionale e globale, che ha eroso, in modo notevole, il tessuto socio-economico e culturale ed esistenziale delle persone su scala nazionale e globale, che ha eroso, in modo notevole, il tessuto socio-economico e culturale delle città”.
Come evidenziato dal sondaggio, nell’ultimo periodo si presta maggiore attenzione a crimini che riguardano l’integrità fisica o sessuale degli individui ed il loro patrimonio individuale. Questi tipi di crimini secondo la professoressa: “Sono un grandissimo campanello d’allarme, perché sono crimini che riguardano la società nel suo insieme, e che portano un grosso danno agli individui”.
A Catania vi è un tasso di dispersione scolastica pari al 20%: questo significa che su 10 ragazzi 2 non completano la scuola dell’obbligo, e questo rappresenta un grandissimo problema sociale. La ragione dietro questa teoria è che spesso i ragazzi che non vanno a scuola finiscono tra le mani della criminalità organizzata.
Anche su questo la docente ha esposto il suo parere: “Fattori di povertà culturale come la dispersione scolastica soprattutto in certi contesti territoriali, possono favorire un incremento delle attività criminali. In tali contesti, la scelta criminale, in particolare per la popolazione più giovane, risulta più agevole in mancanza di alternative lecite, accessibili e percepibili come maggiormente valide sul piano sociale e culturale”.
Cosa si può fare in un momento così complicato? Per la professoressa è necessario che: “Le istituzioni siano credibili, che agiscano nei termini della legalità adottando delle politiche integrate. Queste soluzioni non devono però essere semplicistiche e avere come unico scopo quello di ottenere qualche voto durante le elezioni. Esse devono essere in grado di sviluppare politiche solide sul piano sociale, ambientale, culturale ed economico, che potrebbero rappresentare un’ottima base per politiche criminali e penali adeguate a combattere alti tassi di criminalità”.
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