Sono passati trent'anni dalla Strage di Via D'Amelio: la lotta contro la mafia negli anni è cambiata, ma come? Ne abbiamo parlato con la comunità di Sant'Egidio.
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Ricorrono oggi i trent’anni dalla strage di Via d’Amelio, attentato durante il quale perse la vita il giudice Paolo Borsellino. Quel giorno, l’uomo stava facendo visita alla madre, e oltre a lui persero la vita: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu Antonio Vullo che, durante l’esplosione, stava spostando l’auto della scorta.
Quello che è accaduto trent’anni fa è ormai noto a tutti. Nonostante ciò, sulle dinamiche della vicenda rimangono ancora molte zone d’ombra. Ma cosa è cambiato qualcosa nella coscienza dei cittadini? E cosa si fa, e si può fare, oggi per contrastare la minaccia della mafia?
Ne abbiamo parlato con Marina Papa, membro della comunità catanese di Sant’Egidio.
Ai microfoni di LiveUnict, Marina Papa sottolinea come la memoria sia fondamentale: “Ricordare serve a non cadere più nell’indifferenza che, prima o poi, uccide. Serve a non cadere nella rassegnazione di chi dice ‘non posso farci niente’”. Oggi più che mai sottolinea Marina è importante “sensibilizzare tutti i cittadini alla memoria, affinché questo non accada mai più: dobbiamo sempre essere attenti a ciò che succede intorno a noi e agire”.
La memoria e il ricordo, tuttavia, devono andare di pari passo con l’attivismo: “Se resistiamo a guardare le ingiustizie che ci circondano, senza fare nulla siamo comunque complici. Ricordare quindi non significa celebrare, ma agire ogni giorno”.
Negli anni, la lotta alla mafia è cambiata. La scuola, le associazioni provano a sensibilizzare i giovani sul tema: “I giovani devono, prima di tutto, conoscere la mafia e poi affrontarla e combatterla. Ecco perché è importante parlare di mafia nelle scuole, nelle associazioni, nei circoli… Bisogna capire com’è fatta, quali sono i suoi scopi, i suoi interessi, il suo modus operandi”.
Purtroppo, però, ancora oggi, le organizzazioni criminali riescono ad avere una forte influenza, soprattutto verso i giovani dei quartieri più svantaggiati. Secondo l’intervistata, ciò avviene perché “la mafia dà loro un’alternativa. Ma se i giovani, e soprattutto i giovani di strada, fossero consapevoli, una volta per tutte, che mafia significa solo distruzione e che esiste una vera alternativa, ovvero la legalità e l’onestà, sarebbero capaci di non abbassare più la testa e dire ‘io non ci sto’”.
Chiaramente, non passa tutto dai ragazzi. Anche lo Stato deve offrire il proprio contributo: in che modo? Secondo Papa, è necessario che “lo Stato dia una vera alternativa ai giovani e non la mafia. E questo deve accadere dando loro pari opportunità di partenza, garantendo un vero diritto allo studio e occasioni reali di lavoro”.
A livello economico, per contrastare le logiche mafiose bisognerebbe “puntare su azioni di accompagnamento per creare opportunità di lavoro e di autoimprenditorialità, anche piccola, legate alle enormi risorse che ha la nostra terra: culturali, ambientali e turistiche”.
La lotta contro la mafia non passa solo dai giovani, ma soprattutto dai cittadini, che con i loro gesti e con le loro azioni possono cambiare le cose.
Secondo Marina Papa, è necessario contrastare il fenomeno mafioso: “Con il lavoro onesto, con la dignità di chi va avanti con le proprie capacità senza raccomandazioni, con la consapevolezza che denunciare è meglio che subire. Bisogna stare dalla parte della legalità e non dell’omertà, non bisogna acconsentire gli atti mafiosi, ma bisogna combatterli”.
Per combattere una piaga sociale come la mafia, è necessario anche l’aiuto ed il supporto delle comunità. Nel Catanese, ad esempio, troviamo la comunità di Sant’Egidio, che da anni si occupa di questioni sociali, che riguardano la cura dei più sfortunati.
Secondo Marina, membro della comunità, quest’ultima deve “stare accanto ai bambini e ai giovani sensibilizzandoli alla fame e alla sete di giustizia, alla legalità, alla solidarietà. La comunità offre un’alternativa concreta alla strada, ovvero la scuola della pace, un luogo dove finalmente i bambini riscoprono il senso del rispetto verso gli altri e la bellezza della diversità”.
Con questo progetto, i ragazzi comprendono “che non esiste solo il quartiere del malaffare, della criminalità, ma che c’è un mondo da scoprire e una città da cambiare. Bisogna imparare a rispettare le regole, a prendersi cura prima della propria casa e poi del proprio quartiere e degli altri”.
Sull’attentato di Via D’Amelio ci sono ancora dubbi ed incertezze. Il risultato è una grande sfiducia verso lo Stato. Secondo Marina Papa: “Non si capisce più dove finisca la mafia e inizino le istituzioni: si è creato un mix pericolosissimo che fa scoraggiare chi, invece, crede fortemente nella legge e nella giustizia”.
Ancora oggi, continua l’intervistata, “non si capisce cosa sia accaduto. Poco dopo i fatti di Via D’Amelio, si sono messe in atto strategie di depistaggio, avallate, se non addirittura progettate, anche da pezzi dello Stato. Molto probabilmente, Paolo Borsellino è stato ucciso per difendere quella trattativa tra lo Stato e la mafia di cui era venuto a conoscenza”.
Solo nel 2013, conclude Marina, “è stato avviato il processo sulla trattativa che, cinque anni dopo, vedrà la condanna di vari imputati, ma tutt’oggi restano tantissimi dubbi. Fino a quando lo Stato farà affari sottobanco con la mafia non cambierà mai nulla”.
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