Sono passati trent'anni dalla strage di Capaci: in quest'arco di tempo la lotta alla mafia è cambiata, soprattutto nelle scuole. Ne abbiamo parlato con un docente catanese.
Ricorrono oggi trent’anni dalla strage di Capaci, a seguito della quale persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, la magistrata Francesca Morvillo, e gli uomini della scorta: Rocco Dicilio, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
Quello che è accaduto è cosa nota e tuttavia, nonostante siano passati così tanti anni, non sono ancora ben chiare tutte le dinamiche dell’incidente. Ma qual è la percezione dei giovani di oggi rispetto a quell’evento? Come sono cambiate le cose negli ultimi anni? Cosa possono fare la scuola ed i ragazzi per alleviare un’enorme piaga sociale come la mafia?
Ne abbiamo parlato con Raffaele Messinese, docente presso l’I.T.I.S. Archimede di Catania.
Ai microfoni di LiveUnict, il prof. Messinese ha sottolineato che “la memoria non è solo un ipocrita esercizio di commemorazione. Se continuiamo a non avallare comportamenti di sopruso e se educhiamo i giovani a non voltarsi dall’altra parte ma ad agire in piena legalità, allora quel sacrificio non sarà stato vano. Questi uomini non sono solo dei simboli contro la lotta alla mafia ed alla criminalità organizzata, ma devono rappresentare un punto di partenza verso delle nuove azioni”.
Di quel giorno, il docente ricorda: “Restai muto, sgomento di fronte al notiziario. Sembrava di essere in uno stato di guerra. Sentii tremare le gambe e con esse la sicurezza e la fiducia che quegli uomini ci avevano infuso con il loro indomito coraggio”.
Rispetto a tanti anni fa, la lotta alla mafia è profondamente cambiata. Quel che è certo, però, è che oggi non si vive solo di commemorazioni. Istituzioni e associazioni continuano a sensibilizzare sulla lotta alla mafia, che fa sì che esista oggi una maggior consapevolezza sul tema.
Secondo il prof. Messinese: “La consapevolezza di quella violenza e di quel sopruso ha toccato in maniera particolare le coscienze di chi si è schierato con fermezza dalla parte della giustizia. Grazie agli educatori, è stato possibile far riflettere soprattutto le nuove generazioni non solo sull’accaduto, ma anche sugli effetti che l’indifferenza può creare”.
Anche la scuola ha fatto un grande lavoro di sensibilizzazione sul tema: “Al di là delle giornate previste dal Ministero, ogni occasione, anche la semplice discussione su un comportamento errato può indurre i ragazzi a riflettere. Esempi e gesti degli adulti-educatori sono fondamentali per fornire modelli di comportamento adeguati. La scuola, inoltre, grazie al dialogo e ai continui stimoli, può costruire nei ragazzi dei mattoni di consapevolezza ed innescare dei dubbi sui comportamenti illegali e non corretti dal punto di vista etico e morale”.
La scuola, però, ha il compito di coinvolgere anche i ragazzi che vivono in quartieri popolari, dove la criminalità organizzata spesso è a piede libero. Secondo Messinese, questi ragazzi “non sempre sono naturalmente soggiacenti alle logiche mafiose, ma purtroppo seguono modelli familiari o di coetanei che ritengono la mafia un male minore e con cui convivere per sopravvivere. Molti di loro cercano una luce in fondo al tunnel: questa luce potrebbe essere rappresentata dai docenti. Quest’ultimi devono educare alla lotta contro le logiche mafiose”.
Negli anni. inoltre, sembra essere cambiato il modo di vedere la mafia, anche da parte dei più giovani. Questo cambiamento, secondo il docente catanese, è avvenuto tramite: “i mezzi di comunicazione di massa che hanno avuto un ruolo dirompente”.
Tuttavia, sottolinea il prof. Messinese, “i giovani sembrano indifesi di fronte alle nuove frontiere della criminalità, precisamente della criminalità del web. I ragazzi hanno mezzi per decodificare la realtà oltre le fake news o i complottismi, ma vanno guidati da famiglie illuminate e dai docenti, altrimenti si rischia di mischiare realtà e finzione. Certi media spesso confondono le idee, proponendo prodotti che sdogano la violenza mafiosa. Un ruolo chiave deve tornare ad averlo la lettura, sia di libri sia di quotidiani: questo aiuterebbe sicuramente i ragazzi, così come aiuterebbe il dialogo con gli adulti”.
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