La Vulvodinia colpisce circa il 15% della popolazione femminile: la sua comparsa provoca sofferenze, disagi, rinunce. In Italia, tuttavia, il Sistema Sanitario Nazionale non la riconosce come malattia cronica e invalidante. Mentre si attendono buone notizie a riguardo, sarà utile trattare dettagliatamente di cause, sintomi e cure di questa patologia: ai microfoni di LiveUnict fornisce informazioni a riguardo la Dottoressa Miriam Lo Porto, Specialista in Ostetricia e Ginecologia.
Numerose donne soffrono di Vulvodinia, una patologia ufficialmente riconosciuta nel 2020 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ma non dal Sistema Sanitario Nazionale.
Non di rado, dunque, tale malattia viene confusa con un disturbo di ordine psicosomatico. E quando, magari a distanza di anni, una diagnosi corretta si ottiene? In Italia, ad oggi, le dispendiose cure sono interamente a carico di chi soffre di Vulvodinia.
Pazienti invisibili: tali ostacoli contribuiscono a far sentire tali le donne affette da questa ed altre disfunzioni al pavimento pelvico. Alla rassegnazione, tuttavia, queste preferiscono la mobilitazione.
Lo scorso 12 novembre è stato organizzato il convegno “Vulvodinia e neuropatia del pudendo: un dolore senza voce”, nel corso del quale il Comitato Vulvodinia e Neuropatia del pudendo ha esposto i propri obiettivi, corrispondenti ad importanti passi da compiere.
È stata presentata ufficialmente la Proposta di Legge attraverso cui si richiede, in primo luogo, che Vulvodinia e Neuropatia del pudendo (infiammazione che colpisce anche gli uomini) vengano finalmente riconosciute dal Servizio Sanitario Nazionale come malattie croniche e invalidanti, con relativa esenzione del ticket.
Inoltre il Comitato (composto da sei associazioni che si occupano delle sindromi in questione) punta ad ottenere, già con la Legge di Bilancio 2021, un fondo da riservare a prevenzione, adeguata formazione del personale sanitario ed alla ricerca scientifica.
Fino ad ora sono stati depositati ben cinque emendamenti alla Legge i Bilancio volti ad ottenere tale fondo nazionale: questi verranno discussi in Senato a partire da domani, venerdì 17 dicembre.
In attesa di ottenere risposte concrete, risulterà utile tanto a chi non ha mai sentito parlare di tale patologia quanto a chi ha appena scoperto di soffrirne ottenere maggiori informazioni sulla Vulvodinia: a fornirli ai microfoni di LiveUnict è la Dottoressa Miriam Lo Porto, Specialista in Ostetricia e Ginecologia di Catania.
Non tutti conoscono la Vulvodinia e pochi ne trattano. Un silenzio, quello intorno a tale tema, che appare paradossale se si considera il numero di donne colpite da tale patologia.
“La Vulvodinia è un disturbo, purtroppo, tutt’altro che raro – spiega la Dottoressa Lo Porto -. Studi recenti stimano che circa il 15% della popolazione femminile ne soffre. Si manifesta come dolore cronico, che persiste da almeno 3-6 mesi, nell’area vulvare, che per alcune donne risulta essere parecchio invalidante”.
Spesso la Vulvodinia non viene facilmente e immediatamente riconosciuta: esporre i principali sintomi, però, potrebbe aiutare a combattere la confusione nella diagnosi, tutt’altro che inconsueta.
“I sintomi tipicamente lamentati dalle pazienti – continua la specialista intervistata – sono bruciore, sensazione di spilli e dolore a pugnalata localizzati in un punto preciso o diffusi nella regione vulvare in assenza di una lesione clinicamente evidente”.
Tale disturbo, tuttavia, non si manifesta per tutte in maniera identica.
“Può essere continuo o intermittente – precisa –, a comparsa spontanea o scatenata da uno stimolo tattile, ad esempio sfregamento della regione vulvare durante l’attività fisica, indumenti troppo stretti o rapporti sessuali”.
“Ma è possibile individuare delle cause?”: è la domanda che, in maniera legittima, potrebbe porsi o porre chiunque apprenda per la prima volta dell’esistenza della Vulvodinia. Alcuni fattori, in effetti, concorrerebbero alla sua manifestazione.
“La comparsa dei sintomi e la loro esacerbazione può essere influenzata da diversi fattori quali: infezioni vaginali ricorrenti, colon irritabile o traumi della regione vulvare, ad esempio lacerazioni da parto, o semplicemente secchezza vaginale – afferma la Dottoressa Miriam Lo Porto – . Il meccanismo, causa della cronicizzazione del dolore/bruciore, è la iperattività dei mastociti, cellule deputate alla difesa immunitaria che intervengono nelle reazioni allergiche e nell’infiammazione acuta.
Ciò si traduce in iperalgesia, cioè in una risposta dolorosa amplificata e/o esageratamente prolungata ad un stimolo doloroso di per sé modesto”.
La Vulvodinia è non di rado oggetto di un ritardo diagnostico a dir poco allarmante. Secondo quanto denunciato da molte donne affette da questa malattia e confermato dalla Dottoressa Lo Porto, tra la prima volta in cui si percepisce un disturbo ed il giorno in cui si ottiene una diagnosi intercorre spesso diverso tempo.
“C’è spesso un ritardo di alcuni mesi dalla comparsa dei sintomi alla formulazione della Diagnosi – ammette l’esperta -, principalmente perché la maggior parte delle donne è riluttante a parlare del disagio intimo che vivono ed anche perché molti medici, una volta esposto loro il problema, tendono a sottovalutarlo”.
A riprova di quanto detto, la Dottoressa fornisce dei dati significativi: circa il 40% delle donne sceglie di non rivolgersi al medico e il 60% consulta anche tre o più specialisti prima di giungere ad una diagnosi definitiva.
“Un’accurata anamnesi della paziente è di grande aiuto nell’orientare il medico nella diagnosi. All’esame obiettivo, nella maggior parte dei casi, non si evidenzia alcuna lesione – spiega ancora l’intervistata – . Un segno molto importante, ma non sempre presente, è dato dall’accresciuta sensibilità alla pressione sulla vulva e dalla positività al Q-tip test o swab test: consiste nell’esercitare, con un cotton-fioc, una leggera pressione su alcuni punti specifici dell’area vestibolare che scatena, nella donna affetta da Vulvodinia, un dolore intenso e acuto”.
Resta da chiedersi se, una volta diagnostica la Vulvodinia, basti continuare a rivolgersi ed affidarsi al proprio ginecologo che, come specificato dalla Dottoressa Lo Porto, “è più spesso il primo professionista che formula la diagnosi e definisce la priorità della terapia in relazione a quello che è l’aspetto più invalidante per la vita della donna”.
“L’approccio terapeutico deve essere in ogni caso personalizzato e finalizzato ad ottenere il controllo del dolore e la sua totale scomparsa – precisa la specialista – . È poi assolutamente necessario un approccio multidisciplinare, specie in quei casi di patologie associate. Può essere necessario l’intervento dell’urologo, del gastroenterologo, del fisioterapista e, non meno importante, dello psicologo”.
Mentre si stenta ancora a riconoscere la Vulvodinia come malattia invalidante, le donne soffrono, affrontano trasferte e costi insostenibili e sono costrette a modificare le proprie relazioni. Notevole, poi, è l’impatto sulla salute psicologica delle pazienti.
“La Vulvodinia è un serio problema medico che può interferire con il benessere psico-fisico della donna e inevitabilmente interessare la relazione di coppia e la famiglia intera – chiarisce la Dottoressa Miriam Lo Porto – . La donna rischia di sviluppare la convinzione di essere l’unica a soffrire di un male tanto imbarazzante, localizzato in una regione segreta del proprio corpo così da chiudersi in un atteggiamento di paura e solitudine.
Inevitabilmente tenderà a limitare ogni forma di intimità con il proprio partner e questo metterà a dura prova anche il compagno più sensibile al problema e più innamorato. Inoltre in famiglia, quando la mamma sta male, vengono meno cure e attenzione per i figli”.
La convivenza con questa patologia non comporta “soltanto” la rinuncia ad una normale vita sessuale, sentimentale e sociale, ma anche importanti ostacoli in ambito lavorativo.
“La vita quotidiana della donna è focalizzata sul dolore vulvare, sulle numerose visite, sui frequenti esami – afferma la dottoressa – , che si traducono in perdita di giornate lavorative”.
Le difficoltà riscontrate in più momenti contribuiscono a trasformare il percorso di qualcuna in un vero calvario. Il ritorno ad una vita normale, tuttavia, è possibile: la Dottoressa Lo Porto rassicura le donne sulla presenza di farmaci specifici, poi fornisce loro ulteriori preziosi consigli.
“La consapevolezza della malattia e un fiducioso rapporto con il medico che conosce a fondo la problematica sono elementi fondamentali nel percorso terapeutico della Vulvodinia – indica l’esperta –. Abbiamo a disposizione terapie farmacologiche efficaci, quali gli antidepressivi triciclici ed anticonvulsivanti che, a piccole dosi, interrompono i circuiti del dolore cronico e la sensibilità abnorme dei nervi.
Con cautela possono essere suggeriti anche anestetici topici in crema per alleviare transitoriamente il dolore. In presenza di una muscolatura pelvica ipercontratta a causa del dolore, si può utilmente ricorrere alla fisioterapia – continua la Dottoressa Lo Porto – che insegna a controllare le contrazioni dei muscoli e il dolore da esse provocate. Utili anche gli esercizi di auto-massaggio che, se eseguiti con regolarità, danno sollievo”.
Non mancano, poi, moderni ed innovativi strumenti in grado di aiutare le pazienti.
“Negli ultimi anni – racconta la Dottoressa –, come io stessa ho potuto constatare nel mio lavoro quotidiano a contatto con le problematiche di molte donne, risultati promettenti si sono ottenuti grazie all’utilizzo della Radiofrequenza e dell’ Elettroporazione, trattamenti non invasivi e indolore. Queste tecnologie favoriscono la normale riepitelizzazione delle mucose vulvari e un incremento di fibre elastiche e collagene che impediscono agli stimoli irritativi di raggiungere la ricca innervazione vestibolare e vulvare irritata ed iperalgesica.
Tutto ciò migliora notevolmente il tono muscolare della vagina, la sua innervazione, il trofismo delle mucose, l’idratazione e la lubrificazione, garantendo maggiore elasticità delle fibre muscolari che circondano l’ostio vaginale”.
Le donne colpite da Vulvodinia, per alleviare fastidi e dolori, dovranno inevitabilmente cambiare alcune abitudini. Ma come? La Specialista in Ostetricia e Ginecologia Miriam Lo Porto sottolinea che “va affiancato uno stile di vita e comportamentale volto a ridurre al minimo gli stimoli irritativi“. In particolare, la Dottoressa suggerisce di:
“Tutto questo – conclude l’intervistata – può portare a raggiungere l’obiettivo dell’intervento terapeutico che è quello di guarire la Vulvodinia, affinché la donna possa ritrovare il proprio benessere psico-fisico e, non ultimo, anche il piacere di fare l’amore senza dolore”.
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