Se c’è chi dice che è Dante il “padre della lingua italiana”, c’è anche chi afferma che è il siciliano ad essere il precursore di questa lingua. Chi ha davvero ragione? Vediamo, tramite alcuni riferimenti storici alla corte di Federico II, in che modo il siciliano ha realmente influenzato la letteratura e la lingua italiana.
Federico II di Svevia, vissuto nel 13esimo secolo, è stato, tra i suoi tanti incarichi, anche re di Sicilia. Il suo scopo fu quello di promuovere uno Stato centralizzato e moderno e grazie alla sua forte personalità riuscì ad ottenere ciò che voleva, infatti, durante il suo regno, la Sicilia conobbe una stagione di straordinario sviluppo culturale.
Grazie alla centralità nel Mediterraneo, la sua corte fu il luogo di incontro e fusione di molte culture, infatti, molti dicono che è proprio in questo periodo che si pongono le basi per quella che poi diventerà la lingua italiana: vediamo, dunque, cosa porta a pensare ciò.
La corte di Federico II di Hohenstaufen, nonostante fosse itinerante in quanto egli, per controllare meglio i vasti territori sotto il suo dominio, non risiedeva in un luogo fisso, era prevalentemente stabilita in Sicilia.
È infatti sull’isola che troviamo i maggiori segni della sua eredità, come per esempio le fortezze federiciane, tra cui il Castello Ursino a Catania, il Castello di Maniace a Siracusa, il castello di Scaletta Zanclea ad Enna ed il castello svevo di Augusta.
Inoltre, è proprio nell’isola che, per amore verso la poesia e per unificare linguisticamente il suo regno nel sud dell’Italia, egli fonda la scuola poetica siciliana.
La scuola poetica siciliana, più che una vera e propria scuola, è un movimento filosofico-culturale, che ha un ruolo fondamentale nella storia della letteratura italiana, in quanto rappresenta il primo esempio di lirica in italiano volgare.
A questa scuola poetica appartennero molti dei membri della cancelleria reale, come giudici e notai, ma ne fecero parte anche lo stesso imperatore Federico II e suo figlio Enzo di Sardegna.
È nella prima metà del XIII secolo che, a Palermo, proprio grazie a Federico II di Svevia, attraverso la Scuola Siciliana da lui fondata, fanno i primi passi la lingua italiana e il concetto di integrazione culturale.
I poeti siciliani prendevano ispirazione, nei temi e nello stile, dalla poesia provenzale, che parlava soprattutto di amore cortese. Inoltre, le forme tipiche di questa poesia sono la canzone e soprattutto il sonetto, che è una creazione autonoma e specifica della scuola siciliana.
Considerando che il siciliano è la prima “lingua” che ha sviluppato una tradizione poetica, è diffusa la credenza che l’italiano derivi proprio da questo, ma non è del tutto vero.
Innanzitutto, la produzione poetica della scuola siciliana non riproduceva la lingua popolare, ma si basava su una forma aulica del volgare siciliano, arricchito di latinismi e di francesismi utilizzati nell’ambiente cortigiano di Federico II.
Inoltre, l’attività di questa scuola durò circa un trentennio e si concluse con la morte dell’imperatore di Hohenstaufen, che segnò il declino della dinastia sveva e la scomparsa della società cortese siciliana.
Fortunatamente, però, l’eredità poetica della scuola siciliana venne conservata da alcuni copisti e ripresa anche da Dante Alighieri, si può dire così che la poesia siciliana influenzò molto quella in toscano.
Ciò che si deve sottolineare è che i copisti toscani, quando trascrissero le poesie della scuola siciliana, decisero di rendere “più leggibili” (per sé stessi) i testi. Di conseguenza, gli autori toscani successivi, che non avevano avuto accesso agli originali, conobbero la lirica siciliana solo nella veste toscanizzata: ecco spiegato il perché molti hanno ipotizzato che il siciliano abbia influenzato la lingua italiana.
In conclusione, ciò che si può affermare è semplicemente che l’italiano e il siciliano sono “lingue” sorelle, in quanto entrambe sono nate dal latino volgare.
Ciò che è vero, però, è che le liriche della Scuola Siciliana hanno influenzato le opere degli autori successivi. Vediamo, per esempio, che il sonetto (inventato da Jacopo da Lentini) è diventato la composizione poetica più usata nella letteratura italiana.
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