La Grotta del Drago ha un passato antico e in parte ancora avvolto nel mistero. Dopo anni di degrado, la zona è stata valorizzata dai volontari e oggi è un ecomuseo riconosciuto dalla Regione.
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Nel territorio compreso tra Scordia, Lentini e Militello si trovano diverse aree archeologiche poco o per nulla conosciute ai più. Si tratta di circa una trentina di antichi insediamenti, che un gruppo di studiosi locali ha datato a diversi periodi storici, dalla preistoria al medioevo. Spesso i siti sono stati distrutti o seriamente danneggiati dagli inurbamenti successivi o dalle coltivazioni, ma la zona è ancora caratterizzata da numerose grotte artificiali. Tra quelle meglio conservate c’è l’area della Grotta del Drago, appena fuori dall’abitato di Scordia. La zona è stata recuperata da un gruppo di volontari dopo anni di abbandono e oggi è un ecomuseo riconosciuto dalla Regione Siciliana.
Ci sono diverse ipotesi sull’origine di questo nome così evocativo. La prima e più immediata si basa sulla conformazione del costone di roccia dove sono scavate le grotte, simile al muso di un drago. Altro non sarebbe, quindi, che un caso di pareidolia, l’illusione subcosciente che ci spinge a ricondurre a forme note profili dai tratti casuali. Sono diversi i casi del genere, diffusi anche a Catania e dintorni.
Secondo una leggenda popolare, invece, la zona trarrebbe il nome da un feroce bandito. Questi aveva fatto delle grotte il suo rifugio e viveva di rapine, terrorizzando viandanti e abitanti del luogo.
Un’ultima ipotesi, attribuibile allo studioso Antonio Cucuzza, fa derivare il toponimo dal carattere torrentizio del vallone antistante. L’origine risalirebbe quindi al termine draco, che già in epoca altomedievale indicava fiumi o torrenti impetuosi. L’intera area, infatti, si può raggiungere percorrendo il greto del torrente Cava, ormai estinto, che un tempo si estendeva fino all’area omonima della Cava a est di Scordia.
Nei secoli il corso d’acqua ha scavato nella roccia, creando una piccola ma caratteristica gola, dove sin da tempi antichi l’uomo ha trovato condizioni favorevoli allo sviluppo. Sia la Cava, dove si trovano circa una decina di grotte artificiali, sia la Grotta del Drago sono state studiate per prime dallo storico locale Mauro de Mauro, nella seconda metà dell’800. Lo storico considerava l’area un’abitazione dei Lestrigoni, popolazione che affossa le radici nella mitologia greca.
In seguito, S. Pappalardo descrive l’area della Grotta del Drago come “monumento trogloditico adibito a uso di sepolcro, risalente alle prime invasioni greche dell’isola”. I vari interventi dell’uomo nel corso dei secoli hanno reso difficile stabilire una datazione precisa, ma la Regione Siciliana classifica oggi sia la Cava sia la Grotta come “abitato rupestre bizantino e altomedievale”.
Nelle due aree si trovano nel complesso circa una ventina di grotte artificiali di dimensioni e usi diverse. In zona cava, scrive Antonio Cucuzza sulla rivista Agorà, sono stati rinvenuti reperti che testimoniano l’uso agricolo delle grotte, come una una cisterna campaniforme e una macina in pietra lavica. Tracce simili si possono individuare alla Grotta del Drago, che si raggiunge dopo aver attraversato il greto del fiume, proseguendo lungo il vallone. Oggi la zona è considerata come un piccolo insediamento medievale. La struttura, infatti, richiama quella di un nucleo abitativo su due piani collegati da una scala, tipica di insediamenti diffusi anche altrove in Sicilia.
L’uso delle grotte è cambiato nei secoli e in alcuni casi queste tracce sono ancora ben visibili. È il caso del palmento costruito in una delle grotte, che testimonia l’antica vocazione viticola di Scordia, prima che la coltivazione degli agrumi, soprattutto di arance, diventasse predominante.
Oggi l’area della Grotta del Drago rientra tra gli 11 ecomusei riconosciuti dalla Regione Siciliana. Un’approvazione arrivata nel febbraio del 2020, ma che ha alle spalle un lungo percorso di rivalorizzazione. Ne ha parlato con LiveUnict Alessio Gavini, attivista del Parco “Grotta del Drago”.
“L’area all’inizio non era né riconosciuta né pulita. Abbiamo iniziato il percorso 11 anni fa, nel 2010, cominciando a organizzare attività con le scuole e con gruppi di escursionisti – spiega Gavini -. Prima la zona è stata protetta con vincolo paesaggistico e ambientale, poi dal Codice Urbani. Negli ultimi anni, invece, abbiamo presentato un progetto di riconoscimento come Ecomuseo del Calatino, che è stato approvato dalla Soprintendenza ai Beni Culturali l’anno scorso”.
Gli ecomusei sono cresciuti sempre di più in Sicilia. Si tratta di una tipo di museo che si occupa di studiare, tutelare e far conoscere la memoria collettiva di una comunità e il suo rapporto col territorio. Un’attività che alla Grotta del Drago è iniziata ben prima del riconoscimento ufficiale. “Siamo l’unico ecomuseo – afferma Alessio con orgoglio – già in attività prima della nomina regionale”.
Negli anni le iniziative si sono moltiplicate. Tutte, però, unite dal filo rosso di riscoprire antichi mestieri e tradizioni. Tra queste, per esempio, gli attivisti hanno ripreso l’antica tradizione del “rumpiri, rifunniri e seminare”, tecnica di seminazione con l’aratro. Dalla cima del vallone sopra la Grotta del Drago, poi, in passato si è svolto uno spettacolo di falconeria, pratica che in Sicilia affossa le radici nel medioevo e che è stata riconosciuta come patrimonio immateriale dell’Unesco. “Per il futuro – conclude l’attivista – grazie al riconoscimento come ecomuseo possiamo passare alla seconda fase di progettazione. L’obiettivo è aprire un vero e proprio museo all’aria aperta, mettendo l’area in sicurezza e continuando a valorizzarla”.
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