L’Etna esercita il suo fascino tanto su chi può ammirarla da vicino quanto su coloro che non abitano la Sicilia. Ecco quali parole sono state dedicate all’Etna da scrittori, poeti e drammaturghi di ogni epoca.
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Nel corso delle scorse ore, le immagini dell’ultima eruzione dell’Etna hanno arricchito le testate giornalistiche e riempito i social network. E ciò è possibile per via di una costante: il vulcano sfida e vince il tempo, provocando sempre sensazioni forti, molteplici e contrastanti.
L’Etna esercita il suo fascino tanto su chi può ammirarla da vicino quanto su coloro che non abitano la Sicilia. Non va dimenticato, poi, di come ‘A muntagna abbia permesso la nascita di versi e narrazioni autorevoli: ripercorriamoli partendo dai tempi a noi più distanti.
Il vulcano trova spazio, già intorno al 700 a. C., all’interno del poema mitologico Teogonia del greco Esiodo.
Circa tre secoli dopo, anche il drammaturgo Euripide farà riferimento al monte ne Il ciclope, dramma satiresco e parodia dell’episodio di Polifemo tratto dall’Odissea.
Se è vero che Pietro Bembo, umanista di valore ed intellettuale poliedrico, è ricordato soprattutto per le sue Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua, va anche precisato che altre brillanti opere furono frutto della sua penna. Tra queste, spicca il De Aetna. Si tratta di un saggio in latino scritto in forma di dialogo. Qui l’autore racconta al padre Bernardo, destinato a vestire i panni dell’interlocutore, il suo soggiorno in Sicilia e la sua ascensione sulla cima dell’Etna.
Bembo, che sottolinea di aver scritto per rispondere una volta per tutte a chiunque gli avesse chiesto informazioni a riguardo, descrive in maniera dettagliata sia il vulcano che il territorio circostante. Egli avrebbe avuto anche modo di stupirsi di fronte ad un’improvvisa eruzione: quanto è semplice per chi vive alle pendici di questo vulcano, ed ha ancora negli occhi le immagini di ieri, immedesimarsi in Pietro Bembo?
Anche nella Spagna di pieno Seicento il nome Etna doveva apparire tutt’altro che nuovo: lo dimostrerebbe la Fábula de Polifemo y Galatea, realizzata da Luis de Góngora e pubblicata postuma.
L’autore tratta qui del legame tra Aci e Galatea e della gelosia del Ciclope Polifemo ma senza dimenticare di dedicare alcune stanze alla descrizione della Sicilia che funge da scenario dell’opera o di menzionare il vulcano.
In questo caso, si fa anche riferimento alle leggende mitologiche attraverso cui si tentava di dare una spiegazione alle “espressioni” del maestoso monte: lo spagnolo cita Tifone, già noto ad Ovidio, Eschilo ed Esiodo, e Vulcano.
Di fatto, si era soliti narrare come il Dio Vulcano avesse la sua fucina e forgiasse alle pendici dell’Etna: alla sua attività si dovevano lapilli e rumori. Secondo un altro mito, poi, Tifone sarebbe stato sconfitto da Zeus a colpi di fulmine, poi schiacciato sotto l’Etna. Le fiamme che il Mongibello erutta sarebbero, così, ancora quelle che la figura mitologica vomitò al momento della sconfitta, i terremoti i vani tentativi di liberarsi dall‘enorme peso.
Il tedesco Johann Wolfgang von Goethe espresse ben presto il desiderio di visitare il Bel Paese: lo realizzò nel 1786, quando intraprese un lungo viaggio che, di lì a poco, gli avrebbe permesso anche di scoprire le bellezze della Sicilia.
Quel che non tutti sanno è che nel resoconto del Grand Tour intitolato Il viaggio in Italia (del 1816), lo scrittore racconterà di quando, grazie anche ai suggerimenti del Cavalier Gioeni, salì sui Monti Rossi.
“Il Kniep ha riprodotto con grande esattezza ciò che si presentava innanzi a noi dalla parte della montagna: le masse di lava in primo piano, le vette gemelle dei Monti Rossi a sinistra, e di rimpetto a noi la selva di Nicolosi, sopra la quale si ergeva il cono dell’Etna ricoperto di neve e leggermente fumante”.
Simile l’esperienza di Alexandre Dumas (padre), deciso a dedicare pagine preziose (quelle del suo Etna) all’escursione, avvenuta il 2 e 3 settembre 1835, attraverso Gravina, Santa Lucia, Massannunziata, Nicolosi, Monte Rosso, il convento di San Nicola il Vecchio. Lo scrittore e drammaturgo francese fu talmente incuriosito dal più alto vulcano attivo della placca euroasiatica da raggiungere la cima del cratere a dorso di un mulo.
Il vulcano Etna non spicca soltanto tra i protagonisti della mitologia ma, oggi come in passato, diviene fonte di ispirazione per numerosi poeti.
“Fra tante cose instabili, fra tante
Fragili cose, guarda Etna dal trono
Boscoso, nella gloria di gigante“.
Sono versi, questi, tratti da A’ piè dell’Etna, componimento del 1899 del siciliano Alfio Belluso. E All’Etna, poi, è il titolo della poesia di un uomo di cultura passato alla storia come “il Vate Etneo”, il catanese Mario Rapisardi.
Il vulcano Etna non può che far, inoltre, da sfondo alle vicende dei personaggi verghiani. La protagonista di Storia di una capinera, Maria, descrive “tutti quei villaggi che si arrampicano sul pendio dei monti, che sono grandi e sembrano piccini accanto alla maestà del nostro vecchio Mongibello”.
Per mezzo della scrittura di Giovanni Verga, l’Etna è ora madre affascinante, ora nemica inquietante. Di fatto, nella novella Agonia di un villaggio, si fa riferimento ad una colata lavica del 1886 destinata a devastare le campagne della zona di Nicolosi.
Oggi chiunque può conoscere le dinamiche dell’attività esplosiva dell’Etna consultando note degli esperti o facendo click sul titolo di un articolo apparso in rete. Al contrario, alla fine del XIX secolo, i siciliani recepivano informazioni grazie, tra gli altri, a Federico De Roberto. L’autore de I Viceré, di fatto, descrisse minuziosamente i fenomeni vulcanici all’interno di numerosi articoli apparsi su celebri riviste e quotidiani del tempo.
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