Oggi, 27 gennaio, ricorre la Giornata della Memoria. Vi raccontiamo la storia del siciliano Calogero Marrone, utile a ricordare cosa significhi essere coraggiosi ed umani.
Ogni anno, in occasione della Giornata della Memoria, il piccolo schermo trasmette il film Schindler’s List, mai scontato ma sempre in grado di far riflettere e commuovere.
La pellicola, ispirata all’omonimo romanzo e diretta da Steven Spielberg, racconta di un industriale tedesco che, mettendo a rischio la propria vita e la propria carriera, riuscì a salvare migliaia di ebrei da un destino di morte. Vi stupirà, forse, sapere che al mondo è esistito un “Oscar Schindler” di origini siciliane. Convinti che la parola sia in grado di restituire vita a chi l’ha ingiustamente persa, vi raccontiamo di Calogero Marrone.
La vita di Calogero Marrone, secondo di dieci figli, prese avvio in Sicilia il 12 maggio 1889. Venne, di fatto, al mondo a Favara, piccolo centro in provincia di Agrigento dove, sopravvissuto alla Prima Guerra Mondiale, fu assunto in qualità di segretario della Sezione Combattenti e Reduci, all’interno del comune.
Tuttavia, vicissitudini e scelte, portarono ben presto quest’uomo ad allontanarsi definitivamente dalla propria Terra. Di fatto, nel 1931, Calogero vinse un concorso che bastò da solo a fargli superare i confini della Sicilia, percorrere buona parte della Penisola e giungere, infine, altrove. Preparati i bagagli, Calogero, sua moglie Giuseppina ed i loro quattro figli, partirono alla volta di Varese.
Qui, l’uomo ricoprì inizialmente il ruolo di applicato comunale. Successivamente, le doti dimostrate gli valsero un incarico più importante, lo stesso grazie al quale passerà alla Storia: dal 1937, divenne capo dell’Ufficio Anagrafe. Subentra, a questo punto, un dubbio: se non avesse accettato questa promozione, avremmo raccontato la stessa incredibile vicenda?
Dopo l’8 settembre 1943, giorno in cui il generale Badoglio rese noto l’armistizio firmato in gran segreto con le forze alleate, Varese si trasformò in rifugio per numerosi ebrei ed antifascisti perseguitati. Per quale ragione? Uomini e donne in pericolo erano consapevoli di quanto questa città fosse vicina alla Svizzera, Paese neutrale, da raggiungere per scampare alla morte. Tuttavia, non sarebbe bastato giungere più facilmente alla frontiera per salvarsi: occorreva possedere i documenti necessari, oltre che essere in regola con gli obblighi militari, per superare il confine.
Lo sapeva bene anche Calogero Marrone, che le fonti descrivono come convinto antifascista ed ostinato partigiano. Quest’ultimo, di fatto, si servì della propria posizione lavorativa per rilasciare numerosissimi documenti d’identità falsi e, con essi, l’opportunità di sopravvivere e ricominciare a vivere.
A quanti esseri umani fornì un concreto aiuto? Le testimonianze si sono moltiplicate nel corso degli anni, dimostrando che interi nuclei familiari evitarono la deportazione in campi di concentramento proprio grazie all’attività portata avanti all’interno del suo ufficio di Palazzo Estense per più di tre mesi da questo valoroso siciliano.
Sarebbe corretto giudicare quest’uomo un incosciente? Ci piace pensare che Calogero Marrone fosse consapevole degli innumerevoli rischi legati alle proprie azioni, illecite ma umanamente giuste. Continuò a scegliere solidarietà e altruismo fino a quando, il 4 gennaio 1944, bussò alla porta dell’appartamento di Marrone don Luigi Locatelli, canonico della Basilica di San Vittore in stretto contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale, per informarlo che i tedeschi erano alle porte e che presto questi lo avrebbero raggiunto ed arrestato. Di fronte ad un evidente tradimento, forse ad opera di un impiegato del suo stesso ufficio, Calogero non scelse di fuggire.
Fu “sospeso cautelarmente dal servizio” dal Podestà repubblichino di Varese, Domenico Castelletti “per l’accertamento delle eventuali responsabilità sull’irregolare rilascio di carte d’identità”. Dopo esser stato informato sulle indagini avviate a suo carico, promise di non lasciare la zona (anche per paura di compromettere la vita dei componenti della propria famiglia).
Tre giorni dopo, il 7 gennaio, scattò l’arresto, il secondo della vita di Calogero. Di fatto, anni prima l’uomo aveva preferito scontare mesi di reclusione piuttosto che iscriversi al Partito Nazionale Fascista.
Questa volta, il siciliano venne prelevato dalla propria abitazione da ufficiali del Comando Tedesco della Polizia di Frontiera: venne accusato di collaborazionismo con la Resistenza, favoreggiamento nella fuga di ebrei e violazione dei doveri d’ufficio. Dopo aver trascorso un periodo di detenzione all’interno del carcere di Varese prima, in vari istituti penitenziari poi, venne deportato nel campo di di sterminio tedesco di Dachau. Qui, ammalatosi di tifo, concluse la sua esistenza il 15 febbraio del 1945, “quando stava per sorgere il sole della libertà”.
Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche della 60ª Armata del “1º Fronte ucraino” del maresciallo Ivan Konev giunsero per prime presso la città polacca di Oświęcim (Auschwitz in tedesco): avrebbero, di lì a poco, scovato un campo di concentramento e restituito la libertà ai superstiti.
Esattamente 58 anni dopo, il 27 gennaio 2003, all’interno del Parco di Monte Po di Catania sono state piantate tre querce, destinate a commemorare altrettanti uomini: un albero ricorda Giorgio Perlasca, un altro Giovanni Palatucci, un ultimo Calogero Marrone.
Nel 2013, infine, la Commissione dei Giusti di Yad Vashem (Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme). ha riconosciuto ufficialmente il coraggio di Calogero, assegnandogli il titolo di “Giusto tra le nazioni”.
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