La pandemia ha rivoluzionato il nostro modo di vedere le cose, di pensare: ci ha permesso di rivedere le nostre priorità e di apprezzare uno stile di vita più rilassato.
La pandemia ha cambiato radicalmente il modo di vivere, di pensare e, forse – in questo marasma di indici quotidiani, di abbassamento o innalzamento dei contagiati, di tamponi, di quarantene, di medici del popolo dalla specializzazione ottenuta al Carrefour, tra le elezioni americane e le violenze della polizia – e di rivedere le nostre priorità. Già nel 2018 Karen Rosenkranz nel libro City Quitters: An Exploration of Post-Urban Life evidenziava il fenomeno dei “city quitters”: si tratta di persone che decidono di lasciare lo stress quotidiano delle grandi metropoli per abbracciare uno stile di vita calmo e rilassato. La crisi sanitaria non ha fatto altro che mettere ancora di più in evidenza questa tendenza.
La favola di La Fontaine Il topo di città e il topo di campagna mostra tutti i limiti della vita in città, rispetto alla vita in campagna: “No, basta, vieni domani da me. Non si mangia seduti in pompa magna ghiottonerie da re, ma si mangia e nessuno t’avvelena il pane e il bicchier” diceva il topo di campagna al topo di città, mostrando come nonostante il tipo di vita più austero della campagna, si possa trovare pace e tranquillità pur mangiando pane e acqua.
Cosa c’è di meglio di un giardino dall’otium serale, in cui leggere un buon libro e sorseggiare un calice di vino, staccando la spina e fingendo di non appartenere alla logica del métro, boulot, dodo (modo di dire francese che indica la vita dei parigini “metro, lavoro, letto”) o ancora avere uno spazio proprio, uno spazio dove sentirsi liberi dallo stress quotidiano?
Il fenomeno dei “city quitters” traduce queste aspettative: si tratta di un nutrito numero di persone che decide di abbandonare le grandi metropoli europee come Parigi, Roma, Berlino, Londra o Milano per abbracciare uno stile di vita più comodo, tranquillo e lontano dall’angustia frenesia delle capitali, restando comunque “in contatto” con esse.
Sempre più persone decidono di acquistare case in campagne o al mare, vendendo le loro proprietà in città, per adottare uno stile di vita più calmo, in cui le case hanno gli spazi adatti per telelavorare, in cui i figli possono seguire le lezioni a distanza o ancora avere la possibilità di fare un tuffo al mare dopo il turno in ufficio. Due domande sorgono spontaneamente: perché lasciare la città? Perché adottare uno stile di vita più “bucolico”?
L’elemento che ha scatenato questa voglia intrinseca di abbandonare le dimore cittadine per scegliere case in campagna o a mare è stato da una parte il sorgere del telelavoro e dall’altra l’essere costretti a rimanere chiusi in casa durante il primo confinamento. Se è possibile fare tutto “a distanza”, quale sarebbe il senso di restare stretti in uno spazio non consono a queste attività?
Benché il telelavoro non sia visto sempre positivamente, poiché in qualche modo ci allontana dall’avere un contatto con la realtà, dal bisogno di socialità che ci contraddistingue essendo animali sociali, esiste il rovescio della medaglia: la voglia di ritrovare contatto con le piccole cose ed avere la possibilità di farlo grazie agli spazi più adatti e alla possibilità di ritrovare un po’ di natura nella quotidianità visto i ridotti spostamenti.
Cosa c’è di meglio che leggere un libro, ascoltare la musica, stare a contatto con la natura, godere delle piccole cose, fare un bel bagno al mare dopo una giornata di lavoro? L’impulso del telelavoro, comunque, non ha sostituito la voglia di socialità, la voglia di incontrarsi in ufficio per fare due chiacchiere. Tutto ciò non significa, infatti, dipingere la vita in città come l’inferno su terra, significa trovare il positivo dal confinamento, dalla quarantena vissuta: trovare i nostri spazi e godere delle piccole cose.
Una domanda sorge spontanea: è possibile trovare un connubio tra una vita dai tempi più rilassati e la vita in città? A quanto pare, non bisogna per forza scegliere tra i due modelli di vita: i city quitters fanno parte delle metropoli, ma decidono di viverla a metà, di concedersi qualcosa di prezioso: il proprio tempo interiore, fatto di ritmi personali più tranquilli dediti alla scoperta delle piccole cose quotidiane come avere più spazio per stare a contatto con la natura, leggere sulla terrazza di casa propria con vista mare, avere la possibilità di nuotare, scoprire ciò che ci circonda realmente.
A questo punto ci si chiede: qual è il futuro della città? quale sarà l’assetto delle città post-covid? Avremo voglia di tornare alla vita di prima? O forse ci siamo abituati ad uno stile di vita meno stressato?
Possiamo pensare di rendere le città a misura d’uomo? Magari possiamo ipotizzare di ampliare le piste ciclabili, incrementando le aree verdi, gli spazi in cui sarà possibile ritrovare la propria umanità. Abbiamo capito che nonostante tutti gli averi, forse, riabbracciare, anche solo per qualche momento i valori semplici della vita rustica potrebbe farci bene, poiché come dice il topo di campagna “senza la pace anche una pancia piena non gusta il suo piacer”.
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