Da ormai numerosi anni, il 3 dicembre non è una data qualunque. Oggi, di fatto, ricorre la Giornata Internazionale delle Persone con disabilità: per l’occasione, vale la pena ricordare quali e quante conquiste sono state ottenute.
Di fronte ad una pandemia globale, certo, molti eventi possono essere ripensati o rimandati. Ma chi o cosa può impedire di ricordare ricorrenze fondamentali? Anche in questo insolito 2020, oggi è la Giornata internazionale delle persone con disabilità.
Il 3 dicembre, forse soprattutto in questo particolare momento storico, sollecita a interrogarsi su quanto occorra ancora fare prima di considerare l’inclusione delle persone affette da disabilità davvero piena ed autentica. Per ottenere delle risposte valide, occorrerà ripercorrere i passi in avanti già compiuti nel corso degli ultimi anni.
La Giornata internazionale delle persone con disabilità è stata istituita dall’Organizzazione Nazioni Unite (ONU) nel 1981. Dal luglio del 1993, poi, in questo giorno di inizio dicembre si festeggia anche la Giornata Europea delle Persone con disabilità: è quanto voluto dalla Commissione Europea, in accordo con le stesse Nazioni Unite.
Occorrerà anche ricordare che, proprio nei primi anni Novanta, gli italiani accolsero con entusiasmo un testo destinato ad agevolare la vita delle fasce più vulnerabili.
Di fatto, la legge 5 febbraio 1992, n. 104, più nota come Legge 104, venne emanata con l’obiettivo di tutelare i diritti dei soggetti con handicap e favorire la loro integrazione ed autonomia, grazie anche ad agevolazioni lavorative, fiscali e riservate ai genitori.
Il nuovo secolo avrebbe di lì a poco comportato maggiori riconoscimenti e rilevanti passi in avanti.
Nel marzo del 2002, la Presidenza spagnola e la Commissione dell’Unione Europea organizzarono un Congresso Europeo sulla disabilità. In quell’occasione, non fu soltanto accolta la proclamazione dell’anno 2003 come Anno Europeo delle Persone Disabili ma fu anche promulgata quella che sarebbe passata alla storia come Dichiarazione di Madrid.
Con questo testo, ci si ripromise di continuare a far il possibile per “evolvere da una filosofia paternalistica nei confronti delle persone disabili ad un approccio che, invece, permette loro di acquisire consapevolezza e fiducia in sé stessi per esercitare un controllo sulla propria vita”.
Un solo concetto espresso nel testo potrebbe da solo permettere di affibbiare a tale dichiarazione l’etichetta di “rivoluzionaria”: non era più fondamentale riabilitare l’individuo per inserirlo nella società ma, al contrario, risultava prioritario cambiare la società al fine di adattarla a tutti.
Riconoscendo che spesso la struttura delle società non permetteva ai disabili di esercitare a pieno i loro diritti fondamentali, la Dichiarazione si ripropose di sostituire la compassione con l’integrazione, eliminare le barriere e rendere la società finalmente inclusiva.
Anche in questo documento sono centrali i servizi in grado di rendere indipendente la vita dei disabili, un più semplice accesso al mondo del lavoro ed ai servizi scolastici, oltre che il sostegno alle famiglie.
Già 14 anni fa, inoltre, appariva essenziale il ruolo dell’istruzione. Secondo la Dichiarazione di Madrid, di fatto, le scuole avrebbero dovuto impegnarsi nella diffusione del messaggio di comprensione e di accettazione dei diritti dei disabili, aiutando a sfatare timori, miti e pregiudizi e supportando lo sforzo di tutta la comunità.
Un’ulteriore data cardine è il 13 dicembre 2006, giorno in cui fu adottata, durante la sessantunesima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. Di cosa si tratta?
“Promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità”: è questo lo scopo del testo che conta ben 50 articoli.
I principi della Convenzione, specificati all’interno dell’articolo 3, sono ben otto:
In quell’occasione, gli Stati Parti si impegnarono a “prendere tutte le misure appropriate per eliminare la discriminazione sulla base della disabilità da parte di ogni persona, organizzazione o impresa privata”, oltre che “a tener conto della protezione e della promozione dei diritti umani delle persone con disabilità in tutte le politiche e in tutti i programmi”.
Con l’Articolo 5, tutte le persone vennero riconosciute come uguali di fronte e secondo la legge: in quanto tali, anche ai disabili spettava il diritto, senza alcuna discriminazione, a uguale protezione e uguale beneficio della legge.
Ci si ripromise, in particolare, di punire ogni forma di discriminazione e garantire alle persone con disabilità uguale ed effettiva protezione legale.
Gli Articoli 6 e 7 posero, invece, l’accento rispettivamente sulla protezione delle donne e sulla garanzia dei diritti dei bambini con disabilità.
La sicurezza della persona, la libertà di movimento e la possibilità di scegliere dove e con chi vivere divennero, almeno all’interno del testo, alla portata di tutti. E, con. l’introduzione dell’Articolo 30, alle persone con disabilità venne riconosciuto anche il diritto a prender parte alla vita culturale. Come? Permettendo loro di usufruire di prodotti culturali, programmi televisivi, film, spettacoli teatrali e altre attività culturali in formati accessibili.
Si riconosce loro, inoltre, il diritto a frequentare luoghi di attività culturali, come teatri, musei, cinema, biblioteche e servizi turistici, e, per quanto possibile, a monumenti e siti importanti per la cultura nazionale.
Il 13 dicembre 2006 venne anche siglato a New York il Protocollo opzionale alla già citata Convenzione che il 24 febbraio 2009 venne ratificata dal Parlamento della Repubblica Italiana, divenendo legge dello Stato.
La ratifica ha permesso anche la nascita di un Osservatorio sulla disabilità che non promuove solo la Convenzione ma si occupa anche di raccogliere dati relativi alle condizioni delle persone con disabilità, utili a predisporre una relazione sullo stato di attuazione delle politiche sulla disabilità.
Lo scorso 4 novembre 2020, in Italia, l’Aula della Camera dei deputati ha approvato con scrutinio segreto il cosiddetto “ddl Zan”. Ma cosa avrebbe a che fare con i diritti delle persone con disabilità? Il disegno di legge che prende il nome del deputato del Partito Democratico che l’ha presentato, Alessandro Zan, nasce (prendendo spunto da precedenti proposte) con lo scopo di combattere e punire l’omotransfobia, la misoginia e, con una più tarda modifica, anche le violenze contro le persone disabili.
Di fatto, nelle scorse settimane, i mezzi d’informazione hanno diffuso la notizia di un’estensione delle previsioni degli articoli 604 bis e ter del Codice penale anche alle violenze e discriminazioni legate alla disabilità della vittima. Una conquista, questa, ottenuta anche grazie alle richieste avanzate da alcune associazioni.
Oggi il testo prevede, tra il resto, il carcere fino 18 mesi o una multa fino a 6.000 euro per chiunque istighi a commettere o commetta atti di discriminazione fondati “sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere o sulla disabilità”. Il periodo di reclusione per chi istiga a commettere o commette violenza per gli stessi motivi oscilla, infine, tra i 6 mesi e i 4 anni.
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